Nessuna giustizia per Nicola Bianchi, morto sotto le macerie della palazzina di via D’Annunzio, durante il terremoto del 6 aprile 2009 che ha distrutto il capoluogo abruzzese. Colpo di scena in uno dei più importanti processi della maxi inchiesta sui crolli del terremoto dell’Aquila, portata avanti dalla procura della Repubblica.

Nel sisma morirono 13 persone tra cui lo studente di Vaglie San Nicola. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello nei confronti dell’unico imputato, l’ingegnere Fabrizio Cimino, accusato di omicidio colposo plurimo per condotta omissiva in relazione ai restauri del palazzo e per non aver notato, nel corso dei lavori, palesi criticità del vecchio palazzo.

Alla luce della sentenza della Cassazione, il processo di secondo grado dovrà essere nuovamente celebrato dalla Corte d’Appello di Perugia, che dovrà procedere a un nuovo esame dei fatti. L’annullamento, tra l’altro, pone il procedimento a rischio prescrizione (fissata il 6 ottobre prossimo): difficilmente, infatti, si riuscirà a rifare un processo così complicato.

«Una conclusione che in un certo senso ci aspettavamo – ha commentato papà Sergio Bianchi - anche la seconda sentenza condannava l’ingegnere. Serviva solo la conferma che non è arrivata. Ora tutto dipende dalla corte di Perugia. Questo rinvio suona come un’assoluzione. Il 6 ottobre tutti i procedimenti per l’Aquila cadranno in prescrizione. Pur volendo, non si riuscirà ad arrivare in cassazione. Nessuno ha pensato ai ragazzi di 20 anni che hanno perso la vita, evidentemente i morti non contano niente. I giudici di Perugia cosa dovrebbero fare ora? Evidentemente la giustizia non è fatta dalle leggi ma solo dal modo di pensare delle persone. Del resto, non avrebbero mai messo in discussione un intero sistema che solo per alcuni funziona alla perfezione».