Appassionato di cinema è tra i primi a raccogliere dati completi sui film italiani, dal dopoguerra ad oggi. Nel 1970 partecipa a Rischiatutto, popolare gioco a quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno, presentandosi sulla materia della storia del cinema americano (Hollywood).  Autore del monumentale Dizionario del cinema italiano ( Gremese Editore ) insieme a Roberto Chiti, Roberto Poppi, Mario Pecorari e Andrea Orbicciani. Lancia è uno dei massimi esperti del doppiaggio italiano, tanto da far parte da  diversi anni della giuria del Festival del Doppiaggio – Voci nell’ombra, oggi promosso vice-presidente del festival. Tra le sue pubblicazioni, da segnalare le monografie su Amedeo Nazzari, Sophia Loren, Roberto Rossellini, Claudia Cardinale.

Come ha avuto inizio questa sua avventura nella critica cinematografica?

Più che di critica cinematografica, direi che appuntavo alcune mie riflessioni sul film che stavo vedendo, soprattutto quando avevo 16 anni e vivevo nella mia città, Messina.

Ci parli di quella volta a Rischiatutto

Partecipai per caso poiché uno dei miei colleghi di lavoro nell’informazione farmaceutica, Lucio Falzacappa, oltre tutto fratello di Rossella Falk, essendo a conoscenza di questa mia passione per il cinema, trovò il modo di farmi fare un provino e mi presero subito. Durante la trasmissione di una puntata, che è quella in cui ho vinto, mi presi una arrabbiatura solenne con chi formulava le domande, e una di queste la sbagliai. Mi si chiedeva il regista del film “Il fuorilegge” ed io, pensando ovviamente al film con Alan Ladd, risposi Frank Tuttle. No, mi disse Bongiorno. Il regista è Howard Hughes. Allora io puntualizzai: voi alludete forse al film “Il mio corpo ti scalderà” (titolo originale “The Outlaw”). E dissi, piuttosto alterato: perché non me lo avete detto in inglese, lingua che conosco abbastanza bene, e non avrei certo sbagliato. Esiste già in Italia un film dal titolo “Il fuorilegge” quindi mi avete fuorviato. Non vollero sentire nulla e non me la passarono.

Come nasce il Dizionario del cinema italiano?

Da tempo raccoglievo tutte le informazioni sui film che vedevo (tantissimi) e, dopo l’uscita del secondo volume, quello dal 1945 al 1959, il buon Roberto Chiti mi chiese se volevo fare con lui il primo volume quello dal 1930 al 1944. Accettai subito con grande piacere, pensando di togliermi tutti quei foglietti volanti che conservavo gelosamente, ovviamente per gli anni dal 1940 in poi e che, invece, possiedo tutt’ora. Per quanto riguarda i volumi (sempre del Dizionario) dal 1991 al 2000 e quello dal 2001 al 2010, me li ha chiesti di farli da solo l’editore Gianni Gremese, senza preamboli poiché lui era certo che potevo farcela.

Ci parli della sua passione per il doppiaggio, tema a lei caro, che ha affrontato nei volumi Il doppiaggio nel cinema italiano e Il doppiaggio nel cinema di Hollywood (scritti insieme a Massimo Giraldi e Fabio Melelli).

Ho sempre avuto una grande passione e curiosità per il doppiaggio e, soprattutto, un orecchio particolare nel riconoscere le voci, doti che possiedo ancora oggi che sono avanti negli anni. I primi doppiatori che ho individuato sono stati Rina Morelli e Paolo Stoppa che vidi a teatro, poi Emilio Cigoli quando lo vidi in “I bambini ci guardano” di De Sica, quindi Gino Cervi e Andreina Pagnani anche questi visti a teatro. E dentro di me memorizzavo le voci. Altri li ho individuati piano piano, soprattutto leggendo i loro nomi su riviste mitiche come “Hollywood”. Dhia Cristiani la scovai vedendo “Ossessione” e altrettanto Tina Lattanzi vedendola in alcuni film anni Quaranta. Avevo solo dieci/undici anni. Una solo mi ha fatto impazzire, poiché pur riconoscendo la voce non riuscivo a saperne il nome. Era Renata Marini, la voce di Olivia de Havilland in “Via col vento” e Irene Dunne in “Le bianche scogliere di Dover”. Ma allora ero già più grandicello, nei mitici 16-17 anni. Poi lessi, sempre sulla rivista di cui sopra, che qualcuno chiedeva chi fosse la doppiatrice di Janet Leigh in “Scaramouche” e in “Lo sperone nudo” (biennio 1952-53). Un signore rimasto in incognito disse che si trattava di Renata Marini. E da allora non ho avuto più dubbi. E ho continuato, sempre su fogliettini volanti, a scrivere accanto al nome dell’attore/attrice, chi dava loro la voce. Una follia, forse, perdonabile perché ero un adolescente. Chi avrebbe mai detto che un giorno la gentile signora Bulzoni mi avrebbe dato la possibilità di farne due volumi (di grande mia intima soddisfazione con l’aiuto di Massimo Giraldi e di Fabio Melelli) ed ancora di intervistare parecchi attori/doppiatori ?

Lei fa parte inoltre della giuria del prestigioso Festival dedicato al doppiaggio, Voci nell’ombra: come è entrato a farne parte?

E’ stato Claudio G. Fava del quale ho uno struggente ricordo, positivo e amichevole, che ha capito da quel grande uomo di spettacolo che era, cosa avevo dentro di me tanto che mi ha voluto nella giuria, mettendomi in condizioni ottimali per fare le nomination nel settore “Cinema”. E, prima di andarsene, mi ha nominato quasi suo “vice”, come vice-presidente. Lui che era il presidente, ideatore del festival, mi ha concesso questo onore. Ed io non potrò mai dimenticarlo, è lui che ha fatto realizzare i miei sogni segreti (insieme al professor Orio Caldiron). Mi commuove dire questo, ha fatto come se fosse stato un mio fratello maggiore. Mi meritavo ciò? Forse, non so darne una risposta.

Qual è stata, secondo il suo parere, la più grande “voce” italiana?

Una voce che appartiene al passato è quella, fuor di dubbio, di Emilio Cigoli in campo maschile, e Lydia Simoneschi in quello femminile. Ma mi piacciono tanto la Tina Lattanzi di Rita Hayworth in “Sangue e arena”, la Greer Garson de “La signora Miniver”, la Joan Crawford di “Il romanzo di Mildred”, così come il Gualtiero De Angelis, voce di Errol Flynn in “La leggenda di Robin Hood” (film che conosco a memoria) e di James Stewart in “Winchester ‘73”. O di Augusto Marcacci, voce di Alan Ladd in “Il cavaliere della valle solitaria”. Per ciò che riguarda l’oggi ce ne sono tante: bellissime, riconoscibili, professionali: Maria Pia Di Meo, Michele Kalamera, Cristina Boraschi, Roberto Chevalier, Francesco Pannofino, Elio Pandolfi, Rita Savagnone, Emanuela Rossi e via continuando…

Un aneddoto legato al cinema che le piace ricordare.

E’ legato ad un tema che da scolaretto ho fatto sul film “Ore 9 lezione di chimica” con Alida Valli e Irasema Dilian, regia di Mario Mattòli. Il testo diceva “Parlate di un film che avete visto di recente”. Avevo credo dieci anni e raccontai tutta la trama del film, complimentandomi pure con gli interpreti. E’ l’unico 9 che ho preso come voto in una materia scolastica. Gli altri erano sempre dei 6 stiracchiati. 

L’incontro “cinematografico” che non si può dimenticare?

Sono due: uno è stato telefonico con Coralla Majuri che mi disse di scrivere qualcosa sul Messaggero in occasione della morte della madre, Irasema Dilian, attrice della quale ero innamorato da ragazzino e con la quale tempo prima avevo avuto una lunga conversazione al telefono. L’altro, più importante, quello con Alida Valli che era ospite di un mio caro amico, Carlo Lanzara, a Forte dei Marmi. Tornavo da un viaggio in Francia e mi fermai da lui e famiglia per un saluto, portando una bottiglia di champagne Piper Heidsieck. Lì c’era la Valli e parlai con lei tantissimo, della sua carriera e dei film che avevo amato: Piccolo mondo antico, Eugenia Grandet, Il caso Paradine, Il terzo uomo, Senso e Ultimo incontro (la cui recensione anni prima avevo scritto e che mi era stata pubblicata sempre sulla rivista “Hollywood”). Durante la cena, mi ricordo che Alida disse: “Basta, vada a dormire questo Enrico, si ricorda più cose di me, è intollerabile. E’ la mia biografia.” Aveva un sorriso dolce, sereno. Le volli bene da subito. E diventammo grandi amici.