Spazio satira
Frosinone
25.07.2025 - 06:00
Sequestrato e torturato per un debito di droga da 1.600 euro, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i due uomini arrestati. La donna, invece, ha rilasciato una dichiarazione per dire che non sapeva cosa ci fosse dietro a questa storia.
Mercoledì mattina, i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Frosinone hanno dato esecuzione a una misura cautelare, firmata dal gip del tribunale di Roma, nei confronti dei frusinati Christian Iaboni, 34 anni, Antonia Luburdi, 34, e dell’alatrense Luca Pavia, 31, attuale compagno della donna. Sono in carcere con l’accusa - i due uomini - di sequestro di persona, tortura, tentata estorsione e detenzione e porto illeciti di una pistola, mentre la misura a carico della donna è stata applicata per sequestro di persona.
La denuncia è stata presentata, lo scorso gennaio, da un giovane di Arce, che aveva un debito residuo da 1.600 euro (rispetto agli iniziali 20.000), risalente agli anni 2018-2019, per delle forniture di droga. Per costringerlo a pagare - ha scritto nella querela - sarebbe stato prelevato da casa ad Arce, portato al Casermone per essere picchiato e legato a una ringhiera, al sesto piano del palazzo, nella notte tra l’8 e il 9 gennaio al gelo (visto che da casa era stato prelevato in pigiama). La vittima aveva raccontato anche di essere stato costretto a pagare, tramite versamenti su varie Postepay intestate verosimilmente a prestanomi, una somma superiore al debito contratto. Essendo ipotizzato il reato di sequestro di persona l’inchiesta è stata coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia di Roma e si è proceduto all’arresto senza interrogatorio preventivo.
Ieri, infatti, si svolti ieri gli interrogatori di garanzia: Iaboni e Pavia hanno scelto di non rendere dichiarazioni, avvalendosi della facoltà di non rispondere, la donna, invece, ha fatto riferimento al fatto di non conoscere i pregressi tra gli indagati e la persona offesa. Sono assistiti dagli avvocati Marco Maietta e Enrico Pavia. In base alle accuse, il giovane di Arce avrebbe subito «acute sofferenze» e «un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona». Tanto più che le violenze e le minacce (effettuate anche con chiamate collettive) si sono concretizzate in più momenti con il clou dell’aggressione subita da un gruppetto di cinque-sei persone fra cui una armata di pistola. Si tratta di soggetti non ancora identificati, mentre l’arma non è stata ritrovata.
Nel decidere per il carcere il giudice ha considerato gli indagati particolarmente determinati a raggiungere i loro scopi e anzi di essere pronti a tutto pur di ottenerli, manifestando anche una «particolare pervicacia». Propositi peraltro proseguiti anche dopo l’intervento dei carabinieri ad Arce e la presenza di alcuni vicini di casa. Per l’accusa, inoltre, i due uomini avrebbero contatti con circuiti in grado di rifornirli di armi, a riprova di una «alta caratura criminale». Evidenziata anche una condanna, a due anni, pronunciata dal gup del tribunale di Frosinone, il 23 dicembre 2022 a carico di Iaboni per l’operazione “Seven”. Allo studio degli investigatori dell’Arma le celle telefoniche agganciata da indagati e vittima nonché le ricariche effettuate alle carte Postepay nei giorni successivi al sequestro di persona.
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