La frontiera della povertà continua ad allargarsi in provincia di Frosinone. La mancanza di prospettive di ripresa influisce in modo negativo e l’assenza di lavoro contribuisce ad alimentare un’emorragia che è complicato arrestare. Alle porte della Caritas diocesana di Veroli-Frosinone-Ferentino nelle ultime settimane hanno bussato anche decine di persone senza fissa dimora. Una novità, come spiega il direttore Marco Toti. Argomentando: «Non era mai successo in questo modo. Teniamo presente che finora di casi del genere se ne presentavano 6-7 in un anno. Stiamo dando una risposta a 25 persone senza fissa dimora, ma molti di più si sono rivolti a noi. Abbiamo due strutture per un’accoglienza di questo tipo: a Ceccano e a Castelmassimo di Veroli. I costi da sostenere per delle situazioni del genere sono alti: vitto, alloggio e tutto il resto. E non ci sono enti che contribuiscono in questo tipo di settore. Si tratta in parte di stranieri, soprattutto nordafricani, e questo conferma che una parte del fenomeno è legata all’i m m igrazione. Ma ci sono pure italiani, persone che magari provengono da precedenti esperienze di accoglienza legata alla mancanza di una fissa dimora. Ma anche per quanto riguarda altre situazioni di disagio sociale, in questi pochi giorni del 2016 di segnalazioni ne sono arrivate tante». Alla mensa della Caritas diocesana vengono preparati 45-50 pasti due volte a settimana, precisamente il mercoledì e il venerdì. Poi ci sono le famiglie che si rivolgono ai Centri di ascolto per aiuti o sostegni di vario tipo. Parliamo di non meno di 4.000-4.500 persone soltanto nella diocesi. Si va dall’aiuto alimentare al pagamento di bollette e di utenze, sia in modo sistematico che sporadico. Sempre Marco Toti rileva: «La verità è che non ci sono soltanto famiglie o persone povere da sempre, ma aumentano i casi di famiglie che non hanno mai avuto di questi problemi e che si ritrovano alle prese con una realtà quotidiana durissima. C’è una sorta di discrezione (o di pudore) che spinge molti a rivolgersi alle nostre strutture soltanto dopo una lunga riflessione. È normale che sia così, ma non c’è da vergognarsi».