Non è necessaria la traduzione in cinese dell’ordinanza sugli arresti per lo scandalo alla Motorizzazione di Frosinone. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, uniformandosi a quanto già deciso dal tribunale del Riesame: respinto il ricorso di due cinesi, finiti agli arresti domiciliari, che chiedevano la revoca della misura. Xiaoquan Lin e Xuemei Liu, uomo il primo, donna l’altra, restano pertanto agli arresti domiciliari.

Le accuse

I due sono accusati di aver procacciato stabilmente i candidati cinesi che poi alla Motorizzazione, dopo aver pagato da un minimo di 600 a un massimo di 4.000 euro, passavano senza problemi gli esami per la patente di guida.

«Il collegio - evidenziano i giudici della Cassazione con riferimento a quanto stabilito dal Riesame - ha posto in evidenza che, successivamente all’emissione del provvedimento impugnato, Domenico Ferraro nelle dichiarazioni rese in interrogatorio, ha ammesso l’esistenza di un “sistema Ferraro”, narrando delle plurime attività corruttive di pubblici ufficiali all’interno della motorizzazione civile di Frosinone e - per quanto qui rileva - delineando i termini del coinvolgimento dei ricorrenti nell’illecito agire, rispettivamente indicati con il soprannome italiano di Stefano (Lin) e Elena (Liu)». Dunque il tribunale della libertà concludeva per la sussistenza dei «gravi indizi di colpevolezza in ordine tanto ai singoli episodi corruttivi, quanto alla partecipazione alla associazione».

La lingua

Tra i motivi di ricorso sollevati da Liu c’è proprio la mancata traduzione in cinese dell'ordinanza applicativa degli arresti domiciliari.

«L’obbligo di traduzione non è automatico - rileva la Corte - ma presuppone che dagli atti emerga l’ignoranza della lingua italiana da parte dello straniero, accertando che costituisce un’indagine di mero fatto». I magistrati, sulla scorta dei principi affermati dalla Sezioni unite, ribadiscono che «dalla mancata traduzione discende una nullità a regime intermedio dell’ordinanza cautelare, da eccepire prima o immediatamente dopo la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia, di tal che in caso di mancata deduzione, il vizio risulta sanato».

E più avanti i giudici sottolineano che «la mancata traduzione non inficia di per sé la decisione, ma riverbera soltanto sui termini per proporre impugnazione». Dunque l’effetto della mancata traduzione è «dilazionare il termine per proporre impugnazione in capo all’imputato fintanto che questi non abbia avuto compiuta conoscenza dell’atto in una lingua al medesimo accessibile».

Ecco allora che il tribunale del Riesame ha correttamente ritenuto l’insussistenza dei «presupposti per disporre la traduzione dell’ordinanza nella lingua cinese, essendo la ricorrente perfettamente in grado di comprendere e parlare la lingua italiana». Questo perché la donna da 14 anni si trova in Italia, dove esercita la professione di parrucchiera, «ed ha intrattenuto lunghe conversazioni (intercettate) in italiano; inoltre, il gip ha avuto modo di verificare personalmente, nell’interrogatorio di garanzia, la conoscenza della lingua italiana».

In più «l’ignoranza rilevante non può confondersi con l’incapacità di comprendere alcuni tecnicismi giuridici, incapacità del resto comune alla gran parte dei cittadini italiani».

I soldi

Respinto il ricorso dell’altro cinese. Per la Cassazione la motivazione del Riesame «non presta il fianco ad alcuna censura di ordine logico e/o giuridico». Nell’ordinanza si fa cenno anche al fatto che i candidati, che dovevano superare gli esami, pagavano un prezzo che «variava da 2.000 a 4.000 euro. Il prezzo ordinario per una patente regolare era di 600 euro». Nel corso delle indagini, peraltro, è stato accertato che gli stranieri pagavano più rispetto agli italiani.