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Frosinone

Corruzione, l'avvocato Alfredo Scaccia finisce ai domiciliari

Inchiesta per corruzione e accessi abusivi alle banche dati, dopo l’interrogatorio ha lasciato il carcere. Per l’accusa rivelate informazioni riservate sui procedimenti

guardia di finanza

Dopo l’interrogatorio di garanzia concessi gli arresti domiciliari all’avvocato Alfredo Scaccia. Così ha deciso il gip del tribunale di Verbania Mauro D’Urso dopo aver ascoltato le ragioni rappresentate dal penalista, indagato in un procedimento della procura piemontese per corruzione, accesso abusivo a un sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Per il resto, il gip ha confermato la misura degli arresti domiciliari per gli altri indagati, il figlio di Alfredo, l’avvocato Gabriele Scaccia e il luogotenente dei carabinieri Carmine Casolaro. Nel frattempo, essendo contestato il reato di accesso abusivo a un sistema informatico le carte passeranno per competenza al tribunale di Roma. E sarà poi il gip di Roma a decidere se convalidare la misura o, eventualmente, modificarla.

Alfredo Scaccia, difeso dall’avvocato Marco Cianfrocca, ha reso la sua versione al gip in un lungo interrogatorio. La difesa ha fornito elementi ritenuti utili ad attenuare la sua posizione. Anche gli altri due indagati, il luogotenente Casolaro, difeso dall’avvocato Nicola Ottaviani, e l’avvocato Gabriele Scaccia, difeso dall’avvocato Marco Cianfrocca, hanno fornito la proprie versione al gip.

L’accusa, che si fonda sul lavoro investigativo della Guardia di finanza di Verbania, ipotizza la dazione di somme di denaro dagli avvocati al luogotenente per avere informazioni riservate sullo stato di alcuni procedimenti penali attraverso l’accesso, ritenuto abusivo, alle banche dati delle forze dell’ordine. Somme che gli indagati hanno cercato di giustificare riferendole a somme vinte scommettendo su eventi sportivi. La versione, però, anche alla luce delle chat tra gli indagati,  acquisite dalla procura di Verbania, in cui si usa un linguaggio criptato e la parola caffè, e del sequestro di 1.000 euro effettuato nell’ufficio del militare, non ha pienamente convinto il giudice. In base alle accuse gli avvocati avrebbero cercato informazioni sulle iscrizioni di procedimenti, su chi fosse il magistrato titolare del fascicolo e spinto perché le persone querelate fossero avvisate, venendo così a conoscenza del procedimento penale. Informazioni che - secondo l’accusa -  il carabiniere non sarebbe stato legittimato a fornire e che gli avvocati non avrebbero dovuto conoscere, almeno fino a quel momento delle indagini.

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