Dopo il durissimo scontro tra accusa e difesa, ci si preparava a una nuova battaglia giudiziaria. Il giudice monocratico Andrea Cataldi Tassoni del tribunale di Frosinone è chiamato, infatti, a pronunciarsi nel processo per l’appropriazione indebita di 135 vetture Ford a carico degli amministratori della Mancini spa Giampiero Mancini Pacifici e Manfredo Peca, difesi dagli avvocati Massimo Biffa, Stefano Pasquetti e Fiorella Testani.

Per la casa automobilista, costituitasi parte civile, era presente invece l’avvocato Ferro. L’udienza era deputata ad ascoltare in modo particolare due agenti della polizia stradale che avevano effettuato le indagini relative al ritrovamento delle vetture. Solo che, atteso l’inizio del processo, al termine della mattinata, il giudice non ha potuto che prendere atto della mancanza dei testimoni e ha rinviato il processo a gennaio per gli stessi incombenti previsti nella giornata di ieri.

Dovranno essere dunque i due agenti a fare chiarezza sul caso. Il processo verte su una denuncia presentata dalla Ford Italia che reclamava mancati pagamenti da parte della concessionaria. Quest’ultima, a sua volta, si ritiene creditrice rispetto alla casa automobilistica e nega la sussistenza dell’appropriazione indebita (il reato contestato) in forza delle fatture che venivano emesse.

Il punto è, come spiegato nella precedente udienza da un teste, che la polizia stradale trovò le auto non so lo nell’autosalone, ma anche in altri capannoni in provincia di Frosinone e poi a Bari, in Germania e in Bulgaria. In riferimento ai 135 veicoli oggetto della contestazione, un responsabile della Ford Italia aveva dichiarato che quando non furono onorati i pagamenti venne attivata la procedura di restituzione in virtù della «riserva di proprietà».

Una clausola però fortemente contestata dalla difesa Mancini anche in forza di una decisione in sede civile. Il grosso dello scontro verte sui rapporti economici tra le parti. La Ford, infatti, lamenta un credito di 2,4 milioni. I legali della difesa, all’opposto, insistono nel ritenersi loro i creditori e fanno riferimento a una fideiussione da un milione messa sul tavolo nel tentativo di risolvere il contenzioso.