Sul suo blog si definisce viaggiatore, narratore e sognatore. Simone Grimaldi, classe 1990, è residente a Roccasecca dove lavora nell'impresa edile familiare.
Ha iniziato a viaggiare quando aveva diciotto anni, visitando trentanove nazioni differenti tra Europa, Africa e America. Proprio in Sud America ha intrapreso collaborazioni lavorative che lo hanno tenuto per mesi lontano dalla Ciociaria. Da qualche settimana, a causa dell'emergenza legata al Coronavirus, è bloccato in Argentina insieme a tanti altri italiani. Lo abbiamo contattato.

Simone, come mai ti trovi in Argentina?
«Mi trovo a San Carlos de Bariloche, Río Negro. Da qui inizia la Patagonia, scendendo verso sud si possono ammirare tantissimi laghi, alberi, montagne e quanto di più meraviglioso la natura possa offrire, fino ad arrivare ad Ushuaia, detta anche la "fine del mondo" perché è il punto più a sud calpestabile della crosta terrestre. Tutti abbiamo visto foto e documentari in televisione ed essere qui è realizzare un sogno. Per quanto mi riguarda, a breve avrei dovuto fare ritorno a Buenos Aires e sistemare alcune piccole cose burocratiche per poter lavorare nella capitale. Dopo il mio primo viaggio di tre mesi in Centro America, ho intrapreso contatti con agenzie e imprese argentine, cilene e messicane che successivamente si sono tramutate in collaborazioni.
Il Coronavirus ha ovviamente congelato quasi tutte le mie opportunità. Staremo a vedere. Attualmente mi trovo in un ostello, dove sono arrivato cinquanta giorni fa. Sono stato più fortunato di molti, perché sto bene, sono in compagnia di due ragazzi argentini che lavorano qui e altri due francesi che finora hanno scelto di non tornare in patria. Purtroppo molti altri sono in condizioni peggiori. Qui siamo in quarantena, come in Italia, però forse con leggi di rigidità massima e nessuno "sconto" per casi estremi come i nostri».

Come si sono svolti finora i contatti con le autorità italiane?
«Questa è una bella domanda. Personalmente, ma anche parlando con oltre cento connazionali, la Farnesina non ha mai risposto. Ho passato intere giornate al telefono, senza alcuna risposta. E dall'Italia i miei cari hanno fatto lo stesso. Non mi sono mai lamentato, tutti hanno capito l'emergenza italiana.
Abbiamo sofferto doppiamente, per ciò che accadeva al nostro popolo, ai nostri cari e per le nostre problematiche qui. Dopo qualche settimana, qualcuno di noi è riuscito a comunicare con la Farnesina, che ha inviato messaggi solidali invitando alla calma e dicendo oltre tutto che stavano organizzando voli in collaborazione con l'ambasciata italiana di Buenos Aires. Quest'ultima, durante le ultime cinque settimane, ha inviato a tutti le stesse mail, indicandoci presunte date di voli d'emergenza, talvolta modificate, spesso cancellate. Ci sono stati tre voli di rimpatrio che la Farnesina ha messo a disposizione. Chi si trovava a Buenos Aires a marzo è riuscito a prenderli, pagando esclusivamente 65 euro di tasse. Questo va sottolineato, ma va sottolineato anche che per tutti gli altri non sono stati messi a disposizione mezzi per raggiungere la capitale. L'ambasciata ha delegato i vari consolati, alcuni hanno lavorato bene, altri meno. Io sono stato contattato sempre dal consolato di Bahia Blanca, gentili e sempre presenti, però purtroppo i loro poteri sono davvero miseri: oltre al supporto psicologico, nient'altro. Ci hanno detto che ci sarebbe stato un volo il 2 aprile, poi il 9 e infine l'11… A oggi non si hanno notizie! Peraltro, nelle mail inviateci, insieme alle date, ci invitavano a provvedere autonomamente ad arrivare a Buenos Aires, perché loro non avrebbero organizzato alcun trasporto, a differenza di Francia, Svizzera, Germania e altri Paesi che hanno messo bus a disposizione. Quindi, in caso di un volo certo, noi italiani possiamo raggiungere la capitale esclusivamente in taxi o noleggiando un'auto. Sono soluzioni veramente improbabili: nel mio caso, la tratta Bariloche-Buenos Aires è di ventisei ore di auto, senza sosta e senza menzionare i costi».

Com'è la situazione Covid in Argentina? Siete al sicuro?
«Le dure leggi del presidente Fernandez hanno contenuto la pandemia. A oggi si contano duemila contagiati circa e qualche centinaia di morti. La sanità qui è pubblica, però, senza mancare di rispetto all'intero Paese, era già al collasso prima della pandemia. Si vocifera che ci siano tanti ventilatori, ma se perfino l'Italia è costretta a dare la precedenza ai giovani, secondo voi qui, in caso di contagio di un turista a chi darebbero la priorità? Oltretutto i contagi, seppur di poco, sono in aumento. E le assicurazioni sanitarie private non coprono i casi di Coronavirus. Un altro aspetto è l'impatto mentale della popolazione locale a queste dure leggi. Mi sento in dovere di accennare un triste episodio di qualche settimana fa a Belgrano, quartiere di Buenos Aires prettamente popolato da cittadini di origini cinesi. Girava voce che alcuni di loro avessero rimpatriato parenti contagiati dalla Cina e da lì sarebbe partita tutta l'epidemia. Questo ha scatenato episodi di violenza nei loro confronti. A Belgrano in questo momento sono bloccati alcuni italiani. Secondo voi si sentono sicuri? Altro dettaglio importante, il primo caso di Coronavirus in Argentina è stato quello di un signore di cinquant'anni che aveva viaggiato in Italia ed è morto dopo qualche giorno. Da allora in poi il mio viaggio, e sicuramente quello di tutti, ha cambiato volto.
Sono stato trattato come il responsabile, non sono stato ben accetto in parecchi posti, qualcuno ha rifiutato le mie prenotazioni per dormire. Solo per essere italiano».

Quali sono al momento le restrizioni fissate dal governo argentino e cosa comportano per voi? «Ovviamente poter uscire solo in determinati giorni per fare compere. Per viaggiare verso Buenos Aires necessitiamo di permessi speciali e di un biglietto aereo per l'Italia. Tutte condizioni che non coincidono mai».

Insomma, la situaizone non è certo delle più semplici...
«Sul mio blog (simonegrimaldi.world) ho ricevuto tanti messaggi di conforto e altri un po' scettici a cui risponderò. Ci tengo però a precisare alcune cose. Ci troviamo tutti qui per motivi diversi, alcuni stanno bene e hanno deciso di rimanere, altri hanno vincoli lavorativi o altre motivazioni e dovranno fare una scelta difficile.
Nonostante avessi previsto una permanenza lunga e nonostante negli anni abbia viaggiato molto e sopperito a tante difficoltà, ora fatico a gestire problemi di ansia e sbalzi d'umore. Non oso immaginare gli altri quattrocento italiani che hanno fatto richiesta di rientro da subito. Molti di questi hanno problematiche gravi, come donnecon bambini piccolio in stato di gravidanza, persone di oltre settant'anni con problemi di salute, molti hanno perso il lavoro e altri lo perderanno se non rientreranno in tempo.E  a completare il quadro ci sono tanti ragazzi che sono rimasti senza soldi e non sanno come pagare gli alloggi. Perché in molti prevedevano di stare qui due settimane e non settanta giorni. Già, perché anche qui non sono dei santi, in molti approfittano della situazione alzando prezzi. Il diritto di tornare a casa non può essere negato così».