Dalla sua finestra lo sguardo porta verso la spiaggia che dà sul Mare del Nord. Mai come ora la Scozia è vicina all'Italia, unita da una parola: lockdown. Davide Dionisi, partito da Frosinone dodici anni fa per il Regno Unito, maturità classica al Turriziani, laurea in Ingegneria chimica alla Sapienza, è docente universitario ad Aberdeen.

Insegna in tre corsi alla facoltà di Ingegneria: ingegneria biochimica, trattamento delle acque ed energia dalle biomasse. «Ora siamo più o meno come voi, abbiamo copiato le vostre misure, ma con meno restrizioni – racconta Davide – Le scuole sono chiuse dal 20 marzo e, dallo stesso periodo, il Governo ha imposto la chiusura dei locali pubblici».

Rispetto all'Italia, la Scozia è partita dopo...
«Fino a metà marzo era tutto normale: i ragazzi andavano ancora a scuola e a tutte le altre attività come calcio e scout. Il 7 marzo ad Aberdeen c'è stata la partita di calcio – noi non siamo andati – e sulle tribune c'erano i soliti 14.000 spettatori. L'11 marzo allo Sport village non si poteva parcheggiare per quante macchine c'erano. Le uniche misure adottate erano di rimanere isolati per due settimane se si era stati a contatto con un malato. E il social distancing: restare a distanza di due metri».

E adesso?
«La regola dice si può uscire di casa solamente per comprare cose da mangiare. È scritto cibo essenziale, ma il supermercato vende di tutto. Anche libri e vestiti e su questo c'è stata polemica. Poi si può uscire una sola volta algiorno per fare una passeggiata, ma vicino a casa».

Quando uscite dove andate?
«Per fortuna siamo quasi sulla riva del Don – sì, come il fiume russo – alla foce del fiume. A due passi da casa c'è la spiaggia, ma in questi giorni è quasi deserta».

Si esce con le mascherine?
«Non è necessario e non è imposto».

Nemmeno al supermercato?
«Al supermercato indossiamo la mascherina, ma è una decisione nostra. Quasi nessuno la porta».

Non è necessaria un'autocertificazione?
«Qui non piacciono le autocertificazioni. È tipico britannico. La polizia controlla, può fermare le persone e disperdere gli assembramenti. Le multe? Meno di cento sterline. Poi si può uscire per andare a lavorare se il lavoro non può essere fatto da casa. Hanno chiuso i negozi non alimentari, ma non c'è stata una chiusura forzosa di tutte le attività. L'università ha chiuso, ma è stata una decisione autonoma, non imposta dal Governo. Mentre le scuole sono state chiuse dal Governo che ha bandito solo le lezioni universitarie, non le altre attività».

In teoria all'università si potrebbe ancora andare? «Le attività di ricerca e di laboratorio sono consentite anche perché coinvolgono due tre persone e si può mantenere la distanza di sicurezza. Adesso le lezioni sono finite, però le ultime settimane abbiamo fatto lezione a distanza. Gli esami ci saranno a maggio e luglio e si faranno on-line. L'università spera di riaprire a settembre. Ma stiamo preparando dei piani alternativi per la didattica a distanza anche oltre settembre».

Sullo sfondo aleggia la crisi economica...
«Mia moglie Federica fa l'assistente didattica in una scola privata. Siccome il suo lavoro è difficile da fare on-line è stata messa in cassa integrazione. È il furlough. Io sono nel Regno Unito da dodici anni, e questa parola non l'avevo mai sentita, come pure tanti britannici negli ultimi anni. Il Governo paga l'80% dello stipendio e il resto il datore di lavoro, se vuole però. C'è il problema dell'economia se non riparte. Se non possiamo riprendere le lezioni avremo meno iscritti e senza studenti meno fondi per cui anche l'università sarà costretta a licenziare».