Proviene dalla trincea dello Spallanzani, dove ha lavorato per diciassette anni, guidando anche la task force contro il virus Ebola. La dottoressa Lorena Martini è direttore dell'Unità operativa complessa Assistenza infermieristica edostetricia, riabilitativa e sanitaria tecnica. Alla Asl di Frosinone è la responsabile del Dipartimento delle professioni sanitarie. Nella guerra alla pandemia Covid-19 lei comanda la prima linea, quella del personale sanitario maggiormente esposto. Dirige e coordina 2.000 persone. Spiega: «Voglio nominarli tutti: infermieri, tecnici di laboratorio, tecnici radiologi, fisioterapisti, ostetrici, tecnici della prevenzione, tecnici della neuropsicomotricità, logopedisti, operatori socio-sanitari, ausiliari. Sono la mia squadra, la più forte che c'è». L'abbiamo intervistata.

Dottoressa Martini, in questa fase medici e infermieri sono anche la famiglia dei pazienti Covid-19. O no? 
«Sì, è proprio così. Mai come in questo momento li prendiamo letteralmente in cura. In tanti chiedono di tenere informata la famiglia. Ma le scene che ci stanno scavando l'anima sono quelle che avvengono in rianimazione. Diversi pazienti, prima di essere intubati e addormentati, chiedono a medici e infermieri di recapitare messaggi alla moglie (ti amo), ai figli (vi adoro), ai fratelli e alle sorelle (ho paura, pregate per me). Sono emozioni fortissime e laceranti. In quei momenti, quando il paziente ti guarda negli occhi, noi medici e infermieri capiamo che non siamo soltanto dei professionisti impegnati al massimo.
Capiamo che mentre stiamo infilando un tubo in gola rappresentiamo l'unico ponte tra il paziente e il mondo fuori. Non c'è altro filtro se non quello dell'ango scia che leggi negli occhi del paziente. I nonni chiedono di salutare i nipotini. Succede anche che noi riportiamo a loro i pensieri e le parole che i familiari ci affidano. Perfino, a volte, i disegni dei nipoti. Non è semplice neppure per noi trattenere le lacrime. La paura della mortee la forza dellavita: un mix potentissimo. Questo virus ci ha già cambiato per sempre. Però ora va assolutamente arginato, limitato, sconfitto».

Non eravate pronti a questo?
«A parte strutture specializzate, come lo Spallanzani, nessuno poteva essere pronto ad uno scenario del genere. Neppure la Asl di Frosinone, che però ha risposto in modo straordinario.
Ci siamo preparati per tempo: già a fine gennaio, insieme al Pronto Soccorso, avevamo messo in piede una task force multidisciplinare, attivando procedure aziendali e link epidemiologici.
Per non parlare dei dispositivi di protezione individuale. La destinazione dell'ospedale di Frosinone è già cambiata: il Fabrizio Spaziani ormai è un Covid hospital, questa è la verità».

Mascherine e guanti per i sanitari ci sono?
«Non nascondo le criticità. Ma noi li abbiamo. Certamente tanti vorrebbero lo scafandro, ma per i contatti con i pazienti positivi noi abbiamo dispositivi di protezione individuale in linea con le direttive dell'Oms e del ministero della salute. Aggiungo che, sin da gennaio, tutte le mattine effettuo il giro completo dei reparti: prima per prepararci a quanto poteva accadere e ora per gestire al meglio le procedure per l'utilizzo e il cambio dei dispositivi di protezione individuale».

Dottoressa, avete paura?
«Certo che abbiamo paura ed è normale. Tutti noi abbiamo famiglie e cari che ci aspettano.
Dico di più: la paura ci aiuta a non sbagliare. Quello che bisogna evitare è il panico, perché fa perdere lucidità e non possiamopermettercelo. Alle persone della mia squadra tutte le mattine dico: ben venga la paura, ma guai al panico».

I tamponi a tappeto al personale sanitario servono?
«Per me no. I tamponi andrebbero fatti ai sanitari che sono venuti in contatto con pazienti positivi al Covid-19 senza aver indossato i dispositivi di protezione individuale».

Però negli ospedali ciociari si continua a nascere. Ci riferiamo ai reparti di Ostetricia e Ginecologia. C'è vita oltre il Coronavirus...
«Si continua a nascere e il vagito dei neonati spazza via l'angoscia di questi giorni. Però abbiamo anche predisposto delle aree dedicate a mamme che dovessero essere positive al Coronavirus. E percorsi per i neonati. Se ci sono stati casi? Finora no».

Tutti al fronte in questo momento o si registra qualche assenza di troppo?
«Magari succede che qualcuno ha più paura di altri e si tira indietro. Ma posso assicurarle che sono casi sporadici. La realtà è che la stragrande maggioranza del personale sanitario è in trincea a combattere. Ci siamo riorganizzati però. Io ho il dovere di preoccuparmi dei miei uomini e delle mie donne. Ho applicato la ricetta dei regimi minimi della turnistica. Non si fanno doppi turni per il personale impegnato nei reparti dove ci sono i pazienti affetti da Coronavirus.
È fondamentale dar modo a queste persone di riposarsi per ridurre lo stress terribile al quale sono sottoposte in questo momento».

Com'è la guerra al Coronavirus vista dalla prospettiva dei malati?
«I pazienti naturalmente hanno paura. Anche per tutto quello che si sente. Noi li aiutiamo a combattere e siamo altresì consapevoli di essere la loro famiglia in questo momento».

Quanto è importante osservare le regole?
«Osservare le regole in questo momento è tutto. Ai cittadini dico: restate a casa, tranne quando dovete uscire per motivi seri. Devono evitare di uscire però gli anziani e le persone che hanno patologie importanti. In ogni caso, quando si esce, ci sono due cose da rispettare al massimo (più importanti dell'indossare mascherine e guanti): il distanziamento di almeno un metro da altre persone e il lavaggio delle mani. Prima e dopo. Inoltre bisogna evitare di toccarsi la bocca, gli occhi e il naso senza aver prima disinfettato le mani. Il contagio avviene attraverso le vie aeree».

Quanto è dura anche per lei stare in trincea?
«Sono tre settimane che non vedo i miei figli. È pesante. Ma il mio posto è qui adesso».

Perché lo Spallanzani è un'eccellenza?
«Perché dal 1936 lo Spallanzani ha una sola mission: studiare e contrastare le malattie infettive. Perché allo Spallanzani lavorano medici e scienziati straordinari. E credono in quello che fanno».

Che tipo di virus è?
«Un virus nuovo, completamente sconosciuto. Nessuno nel mondo ha l'immunità. Lo stiamo combattendo senza tregua. Non ci arrenderemo».

Dottoressa, ne usciremo?
«Ne usciremo tutti insieme. Certamente al fronte ci sono medici, operatori sanitari e infermieri.
Ma sarà decisivo il ruolo dei cittadini. Perché con i loro comportamenti possono fermare il contagio. Oggi è questa la priorità».

Quanto ci vorrà secondo lei?
«Ci vorrà ancora un po'».

I medici e gli infermieri oggi sono gli eroi del Paese...
«Naturalmente ci fa piacere questo. Ma vorrei che poi tale percezione venisse ricordata sempre. E un modo per ricordarla sempre sarebbe quello di dire basta alla violenza nei confronti degli operatori sanitari. Ecco, questo sarebbe importantissimo».