«Mi chiese se conoscevo un commercialista. Io gli indicai Rea, professionista e cugino di mia moglie. Poi non volli più saperne nulla, per ragioni personali e politiche.
Non sono più intervenuto nei rapporti e nei successivi incontri, nella prosecuzione del percorso che poi ha portato alla costituzione della coop e a tutto il resto. Fino a che Rea venne in Comune per dei soldi: allora ho visto la disperazione sul suo volto». A parlare, per oltre tre ore, è il sindaco di San Giovanni Incarico, Paolo Fallone.

Ma il vero protagonista resta Rea, l'imprenditore parte civile nel processo per concussione contro Antonio Salvati, che occupa quasi per intero le ricostruzioni in aula, le domande del pm Mattei e quelle delle difese. «Il distretto di Frosinone aveva disposto 50.000 euro per la casa famiglia spiega il sindaco Fallone Soldi a compensazione per le somme già corrisposte. Quando spiegai l'iter, Rea sbottò: "Io così non ce la faccio!"E scoppiò a piangere». Poi seguirono due incontri, uno alla presenza di una dipendente della coop a Cassino, poi con alcuni esponenti della Gdf a Fontana Liri, in cui Rea avrebbe riferito la paura, le presunte richieste di denaro, le modalità di consegna dei soldi nel bagno dell'Unione dei Comuni. Dopo l'incontro anche con un legale, più nulla. Fino a che il sindaco Fallone venne convocato dai carabinieri, capendo così che l'inchiesta era partita.

Le difese vanno all'attacco: provano a scavare sulla vita privata e professionale per far emergere inimicizie tra il sindaco e Salvati, uniti fino a tre mesi prima delle elezioni (poi Fallone si dimette e corre senza di lui) e di tre denunce e due ricorsi al Tar «archiviati e respinti» affonda Santopietro. Nel mezzo, un aspetto affatto secondario: il sindaco racconta in aula di presunte assunzioni a orologeria nella coop. È l'affidamento degli incarichi a tenere ancora banco: «Rea mi riferì di assunzioni pilotate, come quella di moglie e figlio di una persona del Comune o di un altro, parente di un dipendente dell'Ente, perché il padre sarebbe stato teste in un processo». Ma la difesa di Salvati replica ancora, anzi attacca.

Risparmi in una damigiana
Per buona parte dell'udienza fiume di ieri sono stati scavati tutti gli aspetti tra i testimoni e Salvati: rapporti personali, familiari, politici ed economici. I soldi che secondo il quadro accusatorio sarebbero serviti a Saverio Rea a far fronte alle continue richieste dell'imputato sarebbero saltati fuori persino da una damigiana piena di risparmi della madre: è lì che la mamma di Rea avrebbe conservato i risparmi di una vita cambiandoli in diverse tranche da lire in euro, quasi 150.000 (passaggio contestato dall'avvocato De Santis, perché carente di tracciabilità) e utilizzati in più riprese per aiutare il figlio.

«Mi disse all'inizio che erano per pagare le bollette degli immigrati  - afferma la mamma di Rea - ma poi, dopo l'aggressione in giardino a cui accorse anche la moglie, mi spiegò.
E mi disse che Salvati gli aveva detto di dire così». La moglie di Rea, poi, riferisce degli incontri, di un comportamento strano e nervoso di suo marito che, fino all'aggressione, non disse nulla. Quella sera in giardino, fu proprio Rea a chiamarla: «Sentivo bestemmie, urla. Vidi il signor Salvati con le mani al collo di mio marito."Ti incendio casa!" urlava. Solo dopo questo episodio, però, pretesi alcune spiegazioni». Tante le contestazioni sulle risorse finanziarie della famiglia. Poi è stato ascoltato anche un altro parente di Rea al quale l'imprenditore chiedeva prestiti continui. Sempre per far fronte,per l'accusa, alle presunte tangenti. L'udienza è stata aggiornata al prossimo 25 febbraio.