I primi due incontri erano avvenuti nel cortile di casa, con l'accortezza di lasciare il cellulare sul muretto. Poi un giro in auto, in strade buie e strette o un salto in bar tra Castrocielo e Colfelice, per parlare lontani da occhi indiscreti. Quindi il sistema era entrato a regime. E lo scambio delle mazzette, come ricostruito ieri un aula dalla parte civile, sarebbe avvenuto all'interno del palazzo comunale, al piano dell'Unione dei Comuni, sempre dopo le 19. Ma sempre con le stesse accortezze. Rea doveva chiedere ad alta voce, pur sapendo che il palazzo era ormai vuoto: «Presidente, posso andare in bagno?». «Quindi entravo nel bagno, dove il cestino era stato svuotato. Depositavo i soldi nel secchio, tranche da 4.000 o 5.000 euro in un sacchetto, poi dovevo scaricare - racconta Saverio Rea, figura chiave dell'inchiesta per concussione- Così che, se qualcuno ci intercettava, sentiva il rumore dello sciacquone».

Rea, legale rappresentante della coop sociale "Integra 2013", è stato per gli inquirenti il tassello mancante dell'inchiesta su presunte tangenti chieste da Antonio Salvati, in qualità di presidente dell'Unione dei Comuni nel settore dell'accoglienza. E ieri, in un'udienza fiume che ha fatto seguito a una valanga di eccezioni (rigettate) ha parlato delle minacce ricevute, dei soldi recuperati persino dalla nonna, delle pressioni e della lettera per quei 500.000 euro non ricevuti divenuta decreto ingiuntivo, finita però sul tavolo anche della Prefettura. È questo l'inizio delle liti e delle minacce di morte.

I soldi e le minacce
«Le richieste di denaro erano cadenzate nel tempo, legate all'emissione delle fatture. Mi chiamava, mi mandava messaggi magari legati al 730 dell'anno precedente (io sono commercialista): allora capivo che sarebbe venuto quella sera. Mi chiedeva di recuperare soldi in poco tempo. "Sai come funziona la gestione pubblica, bisogna contribuire", mi diceva.
E io andavo in affanno. Ho chiesto aiuto a mia madre, a mia nonna e a un parente: in un caso, mia madre e io, abbiamo cambiato un buono che era la liquidazione della mia parte di eredità. In un altro, la vendita di un terreno. Sono figlio unico - prosegue Rea, sotto le domande del pm Alfredo Mattei - e ho messo mano ai soldi della famiglia. Ogni volta che mi chiedeva soldi mi diceva di non dire nulla a nessuno, neppure a mia moglie; che se andava in galera lui, ci sarei finito pure io: hai due figli piccoli e una famiglia da campare, mi diceva».

Dopo la lettera fatta scrivere dall'avvocato, quella finita pure in Prefettura, però, i toni cambiano. «Ti taglio il collo, ti incendio la casa» ripete Rea in aula, ripercorrendo quanto detto ai carabinieri di Pontecorvo: è la sua dichiarazione, infatti, sulle presunte richieste di denaro (per circa 250.000 euro) dietro la minaccia del blocco dei pagamenti delle fatture presentate dalla coop per l'accoglienza dei profughi, a far partire l'inchiesta. Dal 2013 al 2017 la situazione va avanti così. Sullo sfondo Rea racconta anche di assunzioni a orologeria: quel decreto ingiuntivo da 500.000 euro avrebbe fatto da detonatore.

Nel settembre del 2017 la lite furibonda: «Non fa niente, tanto so dove trovarlo. È un uomo morto» dichiara Salvati alla moglie di Rea.Che non denuncia.
Ma mentre valuta la possibilità, viene chiamato dai carabinieri ai quali, poi, racconterà tutto. Gli avvocati di Salvati, seduto in aula accanto a De Santis, incalzano Rea: il teste si contraddice più volte. Soprattutto sui rapporti personali con l'imputato: prima dichiara di averlo incontrato con Fallone per la prima volta. Poi spiega di aver lavorato per una coop precedente, per pochi mesi, sempre legata all'Unione. Per il resto, però, il suo racconto è lineare.
Gli avvocati De Santis e Santopietro attaccano: sui beni, sulla tracciabilità dei soldi utilizzati per far fronte alle presunte tangenti e su aspetti tecnici.
L'udienza è stata aggiornata a gennaio per ascoltare Fallone e altri testimoni. Intanto, la difesa di Salvati ha preannunciato di voler chiedere una misura meno afflittiva, da scontare in una località isolata persino dalla linea telefonica, con braccialetto elettronico