Quasi settecento milioni di euro giocati dagli scommettitori ciociari nel 2018. Soldi che sono saltati fuori vendendo le case di famiglia, dilapidando stipendi e pensioni, evitando di pagare le bollette, rinunciando ai bisogni più elementari. Dietro non c'è un semplice vizio, ma una vera e propria malattia. Così l'ha definita senza troppi giri di parole Fernando Ferrauti, direttore del dipartimento delle patologie da dipendenza dell'Asl di Frosinone. Insieme al capo ufficio stampa Marco Ferrara e alla responsabile del progetto Marina Zainni, Ferrauti ha illustrato la situazione nella quale l'Asl di Frosinone tenta di dare risposte a chi, giocatore compulsivo, cerca di smettere.

«Già trent'anni fa dicevo che Frosinone non è un'isola felice per le dipendenze - esordisce Ferrauti - La grande difficoltà è relativa al fatto che le dipendenze sono considerate dei vizi e non delle patologie. Noi non ci occupiamo di vizi, ma di malattie. Facciamo di tutto per prevenire, curare e riabilitare le persone». Frosinone non è più un'isola felice da quando il tessuto sociale e la struttura economica non fanno più da protezione.

Numeri alla mano, se si gioca così tanto in Ciociaria (quasi 700 milioni nel 2018 secondo l'agenzia delle dogane e dei monopoli) ci sono conseguenze sociali devastanti. Tolto quasi un 30% di giocatori che Ferrauti definisce «ricreativi» c'è un 70-80% di «patologici». Ad amplificare la situazione, ha contribuito la crisi economica.

«Il gioco d'azzardo come tutte le dipendenze è molto democratico - rileva Ferrauti - È come la droga che taglia tutti trasversalmente». Non ci sono differenze sul piano economico, anche se, ovviamente, chi più ha può permettersi di più. «Quanto più si è svantaggiati - rimarca Ferrauti - tanto più trova preminenza quel meccanismo compulsivo, ossessivo con tendenza alla depressione».

La differenza tra uomini e donne non esiste. «Se una volta nelle tossicodipendenze c'era un rapporto di 10 a 1, ora la differenza si sta appiattendo a 6-4, a 7-3. E il gioco d'azzardo non fa differenza». Ci sono donne che, cercando di salvare i propri mariti, sono state trascinate anch'esse nel vortice. Osserva Ferrauti: «è una patologia che comporta un livello di sofferenza incredibile. Non è una patologia da sottovalutare perché distrugge la vita nel profondo».

La responsabile del progetto Marina Zainni rileva: «Il disturbo da gioco d'azzardo è subdolo e difficilmente rilevabile se non quando il livello di gravità è tale che tutta la famiglia è coinvolta. Le persone che giocano e che non hanno la consapevolezza del problema difficilmente vogliono accedere al servizio del Serd. Ma il Serd ha cambiato pelle e prestazioni all'utenza. C'è un percorso specialistico che si prende in carico le persone e un piano strutturato con l'intento di mettere in rete le realtà del territorio.

Il primo paziente da me curato con patologia legata ai gratta e vinci era nel 2003/2004. Negli ultimi tempi tutti i servizi si stanno attrezzando per dare risposte più specialistiche. Grazie ai fondi regionali abbiamo arruolato professionalità che ci possono aiutare: due psichiatri, una neurologa, quattro psicoterapeuti, mentre procederemo all'assunzione di due assistenti sociali che andranno a supportare il personale».

Il problema della devianza è che la gente pensa "quando voglio esco". Dice Ferrauti: «Uno su diecimila ne esce da solo e quando lo fa ha toccato il fondo. O si cura o avrà un destino fatto di dolore». Non è semplice individuare il passaggio tra giocatore consapevole a ludopatico. «C'è chi è passato per forme diversificate. Si ha dipendenza quando gran parte, se non tutta la propria vita, è legata al gioco e gira intorno ad esso. Se uno parte e va a giocare in una data ricevitoria perché lì sui vince questa è una patologia. Se si superano certe soglie si può parlare di patologia». I segnali? «Il cambio di umore, il budget, l'interessa alla vita.

Sono segnali che i familiari sono in grado di cogliere, ma spesso fanno finta di non vedere. Come quando, una volta che li chiamiamo, dicono "non avremmo voluto sapere"». Ma se ne può uscire. «Se c'è disponibilità a curarsi, se c'è costanza la possibilità di guarigione è altissima». I casi elencati sono tanti. Dall'appartenente alle forze dell'ordine che si è fatto intestare gli immobili dai genitori e li ha venduti. C'è il genero avvocato che ha scoperto che il suocero si era giocato al telefono 35.000 euro. I familiari se ne sono accorti quando sono state tagliate corrente, acqua e gas. E ancora ci sono le casalinghe che hanno tentato il suicidio.