Per Guglielmo Mollicone il "velo di Maya" è stato già squarciato nel corso delle rinnovate indagini che hanno portato a riaprire il caso dopo 18 anni. Dopo che quella richiesta di archiviazione era ormai sinonimo di resa. Per tutti, sarà sollevato questa mattina, punto di partenza e non di arrivo di uno dei casi più complessi del Bel Paese, fatto di depistaggi e faldoni chiusi; di una lotta estenuante, quella di papà Guglielmo, e di un'istituzione - quella dei carabinieri - che grazie alla sensibilità di un generale come Giovanni Nistri ha tirato una linea netta anche se tra i coinvolti risultavano proprio dei militari. E che ha saputo, seconda volta nella storia italiana, chiedere scusa: stessa linea, dopo Cucchi, per Serena. Annunciando che l'Arma ha espresso la volontà di costituirsi parte civile.

Dalla riapertura delle indagini in poi i colpi di scena sono stati davvero molti: il coinvolgimento - insieme all'ex maresciallo Franco Mottola, al figlio e alla moglie - anche (agli inizi del dicembre 2017) del sottufficiale Francesco Suprano. Poco dopo, in una sorta di partita a poker, di Vincenzo Quatrale. Una escalation di passaggi inattesi: l'utilizzo di tecniche scientifiche prima inimmaginabili, tanto che a fare la differenza sono state addirittura le nanoparticelle; la estumulazione, fino ad allora impensabile, del corpo di Serena per il viaggio verso il Labanof di Milano; una nuova pista che ha portato gli inquirenti all'estero; l'ingresso di telecamere speciali del Ros per ricostruire virtualmente il delitto Mollicone in caserma ma anche al bar della Valle, a pochi passi dal bosco dell'Anitrella dove la studentessa è stata trovata senza vita.

Un lavoro monumentale: 52 i faldoni che vengono creati, divisi addirittura in due indici dettagliatissimi. La procura, guidata dal dottor Luciano D'Emmanuele e grazie all'esperienza dei militari del colonnello Fabio Cagnazzo, raccoglie materiale da riempire una stanza intera. Poi chiede il giudizio per la famiglia Mottola e per i due militari: il maresciallo Franco Mottola - all'epoca dei fatti comandante della stazione di Arce - la moglie Anna Maria, il figlio Marco, insieme al maresciallo Vincenzo Quatrale. L'appuntato Francesco Suprano è invece accusato di favoreggiamento. Al solo Quatrale è contestato anche il reato di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, la cui morte continua a essere legata a filo doppio con quella della studentessa. La parola viene lasciata al gup Di Croce: sarà lui, oggi, a dover decidere - in un'udienza a porte chiuse - se disporre il giudizio o meno per gli imputati o se proscioglierli.

Intanto, come ultimo inatteso colpo di scena, a quattro giorni dal processo Mottola - rappresentato dall'avvocato Francesco Germani e dal consulente Carmelo Lavorino - rompe il silenzio dopo 18 anni e lo fa attraverso la sua difesa: una conferenza stampa indetta a Cassino per chiarire alcuni aspetti. Scientifici e non legati all'aspetto giuridico, sottolinea l'avvocato.

Anche gli altri difensori si preparano: gli avvocati Francesco Candido e Paolo D'Arpino per Quatrale; Eduardo Rotondi ed Emiliano Germani per Suprano. Accanto a loro, i difensori delle parti offese che si costituiranno parte civile in giudizio: Dario De Santis per papà Guglielmo; Sandro Salera per la sorella di Serena, Consuelo; Federica Nardoni per Armida, sorella di Guglielmo e l'avvocato Elisa Castellucci per Maria Tuzi. Attesa anche la presenza dei legali del corpo dei carabinieri. Si parte.