Il processo atteso da diciotto anni, quello per il caso di Serena Mollicone, si avvicina. E a otto giorni dall'udienza preliminare è arrivata la notizia che l'Arma dei carabinieri vuole costituirsi parte civile: la stessa identica strada seguita per il caso Cucchi, in cui per la prima volta l'Arma ha chiesto scusa alla famiglia. E adesso lo ha fatto di nuovo. Il generale in persona, il comandante Giovanni Nistri – che di recente ha onorato il territorio con la sua presenza all'inaugurazione della nuova caserma di Cassino – ha incontrato papà Guglielmo. Un incontro intimo, in cui ha ascoltato i racconti di un padre-coraggio, affondando nei ricordi di Serena ragazzina, amante degli animali, pronta a "combattere il sistema" per denunciare il mondo dello spaccio a costo della vita. E lo ha fatto da padre a padre, mettendosi per un attimo nei panni di un genitore che ha perso la sua bambina uccisa – come indicato dalla procura – in una caserma (simbolo di sicurezza e legalità), che ha lottato per diciotto lunghi anni nonostante i depistaggi e le difficoltà e che, comunque, non ha mai perso la fiducia nell'Arma: una sfumatura affatto secondaria.

Ora che il processo si avvicina, il fatto che il generale abbia inoltrato alla Presidenza del Consiglio la richiesta di costituirsi parte civile indica una volontà ben precisa. Accolta con grande emozione da papà Guglielmo, pronto a guardare negli occhi gli imputati nel processo aperto per la morte di sua figlia. «Non credo che il 13 novembre gli imputati saranno in aula, ma se così non fosse, sono pronto» afferma Guglielmo. Che aggiunge: «Voglio ringraziare il colonnello Cagnazzo, il maresciallo Evangelista e il colonnello Imbratta per le loro doti professionali e le loro qualità umane indiscusse. Senza il loro impegno non saremmo qui. Come sempre ho detto, non ho mai perso fiducia nell'Arma. Proprio io, maestro per una vita, ingranaggio delle istituzioni. Negli ultimi anni, grazie anche all'impegno della Siravo e del procuratore D'Emmanuele, è stato possibile andare ben oltre le apparenze per ricercare la verità».

A dover rispondere dell'ipotesi di concorso nell'omicidio della studentessa di Arce uccisa in caserma sono – lo ricordiamo – il maresciallo Franco Mottola, all'epoca dei fatti comandante della stazione di Arce; la moglie Anna Maria; il figlio Marco, insieme al maresciallo Vincenzo Quatrale. L'appuntato Francesco Suprano è invece accusato di favoreggiamento. Al solo Quatrale è contestato anche il reato di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, la cui morte continua a essere legata a un filo doppio a quella della studentessa. Intanto, nella serata di ieri, è arrivato anche l'annuncio dei legali dei Mottola: sabato mattina alla presenza del consulente il professor Lavorino ci sarà una conferenza stampa della difesa.