Sono 282 gli utenti del servizio idrico che hanno intentato una class action contro Acea Ato 5. Con ordinanza, il tribunale di Roma ha considerato «inammissibili tutte le domande» e condannato i promotori dell'azione a 6.800 euro di spese processuali.Diverse le contestazioni mosse dagli utenti al gestore: la violazione dei doveri di informazione e di trasparenza, la vessatorietà di alcune clausole contrattuali, l'illegittimità del sistema tariffario con riferimento alla richiesta di eliminazione del "minimo impegnato" e di ricalcolo di tutte le fatture emesse dal 1/1/2013.

Nella class action si chiedeva di inibire all'Acea Ato 5 i comportamenti contestati,di accertare i danni patrimoniali e non agli utenti. Dal canto suo il gestore ha contestato l'ammissibilità della domanda perché ha ad oggetto domande inibitorie, per manifesta infondatezza e carenza di legittimazioni, nonché ha eccepito la presenza di giudizi pendenti con singoli utenti.
Per il tribunale, tenendo conto che dalla class action sono esclusi «provvedimenti diversi dalla condanna al risarcimento del danno o alle restituzione», ha ritenuto inammissibili per difetto di legittimazione attiva le domande di inibitoria e di adozione di provvedimenti atipici. Quanto alle clausole vessatorie, il tribunale ha sancito che «gli attori, oltre a chiudere un inammissibile sindacato sulle clausole più ampio di quello sulla vessatorietà in senso stretto... non indicano neppure i danni concretamente subiti».

La domanda risarcitoria «è del tutto avulsa da riferimenti a danni patrimoniali specifici e concreti e a danni non patrimoniali risarcibili» tanto da apparire«a fini meramente punitivi».
Sulle variazioni tariffarie «l'utente non ha alcuna possibilità di negoziare le condizioni contrattuali». Infine, non si ravvisa «una sottoclasse di attori effettivamente pregiudicati dall'applicazione» dal minimo tariffario.