Testimonianze sviscerate ai raggi X. Elementi da valorizzare e altri da considerare inattendibili. Accuse che si rimpallano. È battaglia in vista della sentenza che venerdì la Corte d'assise di Frosinone pronuncerà a carico di Mario e Franco Castagnacci, Paolo Palmisani e Michel Fortuna, accusati dell'omicidio di Emanuele Morganti.

Ieri gli interventi del pubblico ministero Vittorio Misiti, della parte civile, avvocato Enrico Pavia, e dei difensori di Fortuna, gli avvocati Giosuè Bruno Naso e Christian Alviani. Il resto delle controrepliche venerdì prima della camera di consiglio. Più volte il pm nella replica (l'accusa ha già chiesto l'ergastolo per Fortuna, 28 anni per Mario Castagnacci, 24 per Franco Castagnacci e 26 per Palmisani) pronuncia l'espressione «suggestive» in riferimento alle «argomentazioni difensive».

Il primo passaggio per le accuse lanciate dalle difese ai buttafuori: il pm ricorda le dichiarazioni dell'allora fidanzata di Palmisani che, però, in aula «non ricordava più l'aggressione dei buttafuori». Su Franco che trattiene Gianmarco Ceccani con l'intento, secondo la difesa, di non fargli male, cita i testi per concludere: «valuterà la Corte se ciò sia avvenuto al fine di impedire che Ceccani si facesse male o al fine di impedirgli di soccorrere l'amico in pericolo». Ritiene irrilevante «se Ceccani avrebbe o meno raggiunto Emanuele». Misiti richiama le intercettazioni dalle quali emerge il tentativo di concordare «una versione non pregiudizievole» da fornire ai carabinieri.

Contestata dal pm la tesi della «suggestione mediatica» che «è fondata sul nulla e comunque smentita dalle convergenze probatorie». Peraltro, «la suggestione mediatica più forte» era verso i buttafuori sulla quale non c'è stata «assolutamente alcuna univocità e sufficienza probatoria». Su Franco che insegue Emanuele, Misiti lo riconduce al fatto che Castagnacci «abbia voluto rincorrerlo per vendicarsi e l'abbia dunque aggredito su via dei Vineri».

Ai difensori di Mario e Paolo, Misiti ricorda che la testimonianza della fidanzata di Emanuele è «comprensibilmente confusa e, quindi, non utile, anche in ragione dello stress, del dolore e dei verosimili sensi di colpa». Ancora sull'influenza mediatica, chiede agli avvocati «in cosa si è tradotta», per poi aggiungere che le prime informazioni dei testi sono state acquisite «nell'immediatezza dei fatti» e solo dopo pubblicate.

Al contrario se questa influenza mediatica ci fosse stata, avremmo «dichiarazioni tra loro perfettamente corrispondenti ed allineate nel senso indicato dai media», invece sono tutte diverse. La difesa ha indicato che i testi parlano di rissa, ma lo fanno - a parere del pm - senza darne il significato giuridico, tanto più che non è stato indicato dagli avvocati «l'altro fronte della rissa».

Alla difesa Fortuna, il pm dice di aver individuato, con riferimento a ciascun imputato, le dichiarazioni «globalmente attendibili». Sul teste che sarebbe stato minacciato di manette, la procura lo interpreta come un'esagerazione per giustificarsi di aver "dovuto" accusare l'amico. Sulla teste che non riconosce Michel, il pm non si mostra preoccupato, ritenendo, se avesse voluto falsamente accusare Fortuna, che l'avrebbe riconosciuto. «Destituita di qualsiasi riscontro probatorio» per Misiti anche la circostanza che il soggetto in posizione da pugile fosse un quinto uomo. Quindi conclude il pm sostenendo che tutte le difese si sono preoccupate di smentite i testi sulle condotte degli imputati, «ma non ci hanno minimamente detto che cosa invece avrebbero fatto quella sera» durante l'aggressione.

L'avvocato Pavia per la famiglia Morganti evidenzia quell'"uccidilo", pronunciato da Franco per sostenere il concorso materiale nel delitto. Quindi stigmatizza il padre che «anziché frenarlo, istiga il figlio a commettere un delitto. La cosa più esecrabile». Evidenzia le 28 lesioni sul corpo di Emanuele: «È stato linciato».

L'avvocato Giosuè Bruno Naso per Fortuna contesta il ricorso alle parti di deposizione ritenute più funzionali dall'accusa: «Nel processo penale è vero quello che è provato. A me sembra che tutto questo la procura non sia riuscita a farlo». Parla di lettura alternativa delle deposizioni evidenziate dall'accusa per portare la giuria sul terreno del «ragionevole dubbio».

Difende con forza l'idea di non aver fatto parlare Michel in aula e quella del mancato ricorso al Riesame: «Penso che una condanna del tribunale del Riesame confermi l'accusa». E insiste: «L'onere della prova grava sulla procura». Infine chiarisce il significato delle sue frasi sulla banalità della morte. L'avvocato Christian Alviani rileva la «bontà delle nostre argomentazioni» non scalfita dai pm. Ribadisce l'invito alla giuria a usare le deposizioni dei testi nella loro interezza. E insiste nel sostenere che quello in posizione da pugile non era Michel e che questi prima di allora non era mai entrato nel Miro, il locale di piazza Regina Margherita, nel centro storico di Alatri, dove è iniziato il pestaggio mortale.