Un'udienza drammatica. La deposizione più lunga finora ascoltata dalla Corte d'assise nel processo per l'omicidio di Emanuele Morganti è dell'amico Gianmarco Ceccani, sentito per quattro ore. Il giovane si sottopone al fuoco di fila di domande, prima del procuratore, poi delle difese. Queste lo incalzano, anche con toni aspri, per minarne l'attendibilità e contestare le varie versioni rese e le integrazioni di ieri. Gianmarco ammette di aver fatto «un casino» nella prima dichiarazione ai carabinieri a poche ore dall'aggressione, perché sconvolto. «Mi sono messo in mezzo per aiutarlo - dichiara - e non ci sono riuscito. Ho i sensi di colpa».

Gianmarco, appena sedutosi sul banco dei testimoni, si dichiara «tanto amico di Emanuele». Alle domande dei pubblici ministeri Giuseppe De Falco e Vittorio Misiti, ricostruisce i fatti di quella notte del 24 marzo di due anni fa in piazza Regina Margherita per i quali sono a processo Franco e Mario Castagnacci, Paolo Palmisani e Michel Fortuna (difesi dagli avvocati Marilena Colagiacomo, Massimiliano Carbone, Angelo Bucci, Giosuè Naso e Christian Alviani). La famiglia Morganti è costituita parte civile con l'avvocato Enrico Pavia.

Ceccani ripercorre i fatti da quando i buttafuori allontanano Emanuele dal locale. Riferisce di un buttafuori che lo colpisce con il manganello, indicato in Michael Ciotoli. Spiega di essere stato bloccato due volte da altri due buttafuori mentre cerca di portare aiuto a Emanuele. Su Franco Castagnacci aggiunge che insieme a un buttafuori insegue Emanuele in via dei Vineri. Descrive Franco sopra Emanuele che gli tiene le mani e gli urla contro. Quindi la scena altre volte illustrata in aula quella di Franco che trattiene Gianmarco. «Non era rischioso - spiega - perché saltavo su una Cinquecento rossa parcheggiata lì sotto». Ricorda una frase di Franco in dialetto «stai qui che ti fai male», interpretata come una minaccia. Dice di aver sentito, alla fine, «un rumore fortissimo». Emanuele che cade e di essersi gettato sul corpo dell'amico per proteggerlo. Il pm gli domanda se ha visto gli aggressori. «Purtroppo no», la risposta. Gianmarco ripete che lì vicino ci sono Paolo che se ne va, Mario che nega di aver qualcosa a che fare, che però «erano agitati e avevano lo sguardo cattivo». C'è un ragazzo «alto e robusto in posizione da pugile e mi sono accorto che partecipava all'aggressione», al quale sferra un pugno, successivamente (all'inizio non l'aveva riconosciuto) identificato in Michel: «ho questa immagine e lo riconosco», precisa al presidente della Corte, il giudice Farinella. A quel punto iniziano le contestazioni del pm De Falco con riferimento alle versioni rese dal 25 marzo. Afferma di essere rimasto sconvolto dall'accaduto e di aver avuto dei vuoti di memoria che ha cercato di colmare confrontandosi con gli amici. E conferma che nel gruppo degli aggressori ci sono Mario e Paolo.

Incalzato dalle difese, ricostruisce alcuni dialoghi intercettati. Con l'ex fidanzata, che Gianmarco sostiene di aver voluto convincere a testimoniare o, almeno, a parlare con la sorella di Emanuele. Un lungo dialogo sul quale le difese hanno insistito. Duro scontro con la difesa Palmisani-Castagnacci che gli contesta di dire cose riferitegli, in base alla stessa intercettazione ( e alla frase «io non lo posso dire»). Un riferimento ai tentativi di coinvolgere altri per risalire ai colpevoli o convincerli a testimoniare e all'idea di farsi giustizia da sè: «Stavo fuori di testa». Infine Franco Castagnacci rende una spontanea dichiarazione: «non è vero che Gianmarco mi conosce di vista. Ha frequentato casa mia».