Una prima tranche da 44.000 euro versata il 1° febbraio. Un altro versamento da 100.000 euro da fare per il 28 febbraio, quindi una richiesta di altri 250.000 tra febbraio e marzo. Rate mensili a partire da giugno: 20.000 euro per 35 mesi. È questa la richiesta estorsiva che il clan camorristico avrebbe formalizzato all'imprenditore Lorenzo Scarsella, che doveva realizzare l'ampliamento del cimitero di Ferentino. Questo hanno ricostruito i carabinieri della compagnia di Tivoli coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che, giovedì, hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere, firmate dal gip Flavia Costantini, a carico del consigliere comunale di Ferentino Pio Riggi, 54 anni, dell'altro ferentinate Luciano Rosa, 64, parente del primo, dei napoletani Ugo Di Giovanni, 41, e Gennaro Rizzo, 46, e del romano Emiliano Sollazzo, 30, tutti finiti a Regina Coeli.

Ieri l'avvocato Giampiero Vellucci, difensore di Riggi, l'ha incontrato in carcere per pianificare la strategia difensiva in vista dell'interrogatorio di garanzia, fissato per lunedì. «Daremo la nostra versione», si limita a dire il legale, con riferimento al fatto che Riggi si è detto disponibile a rispondere alle domande del giudice. Il tutto in attesa degli ulteriori sviluppi. Nell'ordinanza firmata dal gip si parte dall'inizio, ovvero dal project financing proposto dalla società Scamo per l'ampliamento del cimitero di Ferentino. «Sulla base delle dichiarazioni rese dagli imprenditori e dai loro collaboratori – si legge nell'ordinanza – è stato accertato che la richiesta estorsiva fosse da ricondurre ad un originario rapporto corruttivo intercorso tra Antonio Scarsella (amministratore della Scamo, ndr) e il consigliere comunale Pio Riggi».

In base al progetto, per quindici anni, la società di Tivoli, avrebbe gestito la zona frutto dell'ampliamento, compresa la vendita dei loculi. Un affare stimato in dieci milioni di euro (da cui la richiesta fatta dal clan di un milione di euro). La firma del contratto è del febbraio 2018 e cantierizzazione a dicembre. L'imprenditore di Tivoli non aveva voluto effettuare il pagamento così è stato minacciato. Dalle dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini, «è possibile evincere – sostiene il gip – che nel 2013 tra Antonio Scarsella e Pio Riggi era stato stretto un patto corruttivo per una somma imprecisata; al patto, l'imprenditore di comune accordo con il figlio, non aveva inteso dare seguito e da ciò la pretesa estorsiva, che vede protagonista il consigliere comunale, quale mandante di un gruppo di persone legate ad organizzazioni malavitose di stampo camorristico». Lorenzo Scarsella, figlio di Antonio, nella sua denuncia sostiene che «forse lo stesso giorno in cui si è concretizzato» l'accordo «Riggi mi avvicinò e, senza molti giri di parole, mi disse che per il suo interessamento avrei dovuto versare il 5% dell'importo totale dei lavori a titolo di tangente». Una richiesta del tutto «inaspettata» l'ha definita il denunciante. Con il quale Scarsella aveva intrattenuto, a suo dire, già negli anni 2016 e 2017 dei rapporti di natura commerciale con una società di serramenti della famiglia della moglie di Riggi. «Con tale società sostiene Lorenzo Scarsella-abbiamo avuto anche qualche rapporto commerciale in ragione della competitività dei prezzi, acquistando da loro in due occasioni infissi: per la ristrutturazione di un palazzo del consigli regionale del Lazio e per le case popolari di Rocca di Papa». Lavori che Scarsella ha dichiarato di aver regolarmente pagato.

La frequentazione potrebbe essere continuata ai tempi in cui Riggi, ex consigliere provinciale con l'Italia dei Valori era stato chiamato alla segreteria dell'allora consigliere regionale Vincenzo Maruccio. Il denunciate sostiene allora di esser stato avvicinato nuovamente da Riggi e di aver ricevuto una richiesta di 25.000 euro da versare in trance da 5.000 euro a settimana. Ma anche tale richiesta non è stata accettata. Tanto più che in quella fase il progetto, secondo Scarsella,«non era facilmente bloccabile dal Riggi». Anche se un'altra ditta avesse fatto un'offerta, l'ultima parola sarebbe spettata comunque alla ditta di Tivoli. Ed è da quel momento che le pressioni si fanno più forti ricostruiscono i carabinieri con l'intervento, attraverso Rosa, cugino di Riggi, degli esponenti del clan camorristico dei Senese.