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Rai, quando in una sigla c'è un tema trasversale

Rai, quando in una sigla c'è un tema trasversale

Il terzo occhio

Rai, quando in una sigla c'è un tema trasversale

Di Rai si parla tanto, vuoi per le uscite di Renzi, vuoi per le vicende della sua ristrutturazione, vuoi per il caso del canone. Uno slogan molto in voga è “Fuori i partiti dalla Rai!”; capisco bene che l'influenza dei partiti spaventa l'opinione pubblica e anche i partiti più deboli, ma di fatto la Rai è un'azienda prevalentemente pubblica, e il pubblico è influenzato dalla politica, come del resto il privato è influenzato dal mercato. Non è né un bene né un male, è naturale.

Diversa è l'analisi se consideriamo che la Rai fa informazione, e allora lì il problema si pone: può un'azienda pubblica garantire un'informazione imparziale? Forse no, tutto sommato non mi pare che i privati vogliano sempre fornire un'informazione obiettiva. È vero però che dell'informazione in Rai bisogna discutere. Trovo che il canone non dovrebbe essere solo un'imposta sul possesso del televisore, quanto più una tassa su un servizio pubblico e infatti è anche questo. Ma allora, perché si dovrebbe pagare una tassa se il finanziamento del servizio è in larga parte coperto anche dalla pubblicità? Sarebbe logico pagare un canone se non vi fossero spot, senza contare il fatto che una Tv con degli spot verrà indubbiamente condizionata nelle scelte dei contenuti, perché deve fare alto share e di conseguenza ne viene meno la qualità.

Cosa quindi dovrebbe essere il “servizio pubblico”della Rai? Un'offerta di contenuti culturali e d'informazione pregiati, liberi dal gioco del mercato. Era giusto pagare per il maestro Manzi, per il teatro in prima serata, per l'eleganza della vecchia tribuna politica, non certo per l'ennesima fiction da strapazzo. Su questo la Rai deve interrogarsi, essendo il punto principale, non dimenticando poi le critiche alla sua informazione, da sempre filo-goverativa. Sarà così finché il cda verrà nominato dal Parlamento.

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