L'ultima frontiera del caporalato è stata smascherata dall'operazione Commodo, l'indagine della Squadra Mobile di Latina che ha portato alla luce una solida associazione per delinquere dedita allo sfruttamento del lavoro, all'estorsione, all'autoriciclaggio, alla corruzione e a tutta una serie di reati tributari. Sei le persone arrestate dopo due anni di indagini: in carcere sono finiti Luigi Battisti, Daniela Cerroni e Marco Vaccaro di 51, 44 e 40 anni, quest'ultimo nato a Frosinone e residente a Morolo.

Ai domiciliari Nicola Spognardi, Luca Di Pietro e Chiara Battisti di 58, 49 e 25 anni, mentre altri cinquanta sono indagati a piede libero tra imprenditori agricoli, commercialisti, ispettori ed esponenti del mondo sindacale. Questa nuova forma di business poggiava le proprie basi sull'impiego in agricoltura degli immigrati soprattutto richiedenti asilo africani, ma anche romeni attraverso il filtro di società che fornivano la manodopera alle aziende agricole sgravandole dal rischio di incappare nei controlli di contrasto al lavoro nero, pur mantenendo le condizioni di sfruttamento dei braccianti.

Un business di quelli imponenti se si considera che gli investigatori del vice questore Carmine Mosca hanno sequestrato, durante le perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati, quasi 500.000 euro tra contanti e assegni, mentre col supporto dello Sco sono stati sigillati beni immobili e partecipazioni societarie per quattro milioni di euro. «Siamo andati oltre quello che viene conosciuto come caporalato - ha spiegato il questore Carmine Belfiore -. Abbiamo scoperto come sia possibile lo sfruttamento disumano di centinaia di lavoratori stranieri. Le indagini hanno dimostrato perché c'è tutto un sistema di collusione intorno: coloro che dovrebbero controllare in realtà delinquono. Grazie al coordinamento della Procura siamo riusciti a innalzare il livello di conoscenza in questo tipo di reati».

Tutto ruotava attorno alle due società Ellebi e Agri Amici, entrambe riconducibili a Luigi Battisti, ma solo la prima formalmente, vale a dire quella che metteva a disposizione otto furgoni per il trasporto dei braccianti nei campi. L'altra ditta invece, intestata al prestanome Luigi Di Pietro e gestita dallo stesso Battisti con il coinvolgimento di Daniela Cerroni, si sobbarcava l'onere di assumere i lavoratori e fornire la manodopera alle imprese agricole operando come un'agenzia interinale, senza però esserne abilitata.

«L'indagine poteva essere chiusa in poco tempo – ha spiegato il procuratore Carlo Lasperanza, che ha coordinato le indagini insieme ai sostituti Giuseppe Miliano, Luigia Spinelli e Valerio De Luca – Ma gli approfondimenti hanno permesso di svelare le coperture dell'organizzazione. Questo è stato possibile con le intercettazioni, ma anche grazie anche a una serie di testimonianze fornite da lavoratori e soggetti che, coinvolti nella gestione delle società, non accettavano di lavorare in maniera illecita. Non solo si sono chiamati fuori, ma hanno deciso di collaborare con le istituzioni, da comuni cittadini».

Il sistema escogitato dal sodalizio gestito da Battisti aveva monopolizzato il settore in tutto il Lazio perché forniva garanzie alle aziende agricole. Il rischio che i braccianti potessero ribellarsi veniva azzerato imponendo ai lavoratori l'iscrizione al sindacato Fai-Cisl, ovvero sfruttando la connivenza del segretario provinciale Marco Vaccaro. Le "consulenze" di alcuni ispettori del lavoro, primo tra tutti Nicola Spognardi, consentiva di mitigare i controlli, ma soprattutto aggirare i rischi maggiori con una serie di consigli utili. L'aiuto di commercialisti e consulenti, infine, permetteva di aggirare il pagamento delle imposte, falsare le buste paga per minimizzare le spese e reinvestire i ricavi attraverso società pulite. Vaccaro sarà interrogato lunedì mattina alla presenza del suo avvocato Giampiero Vellucci.