Le sbarre della prigione in cui ha vissuto Gloria Pompili erano invisibili, è stata la madre della giovane donna uccisa a 23 anni perché si era ribellata ai soprusi e alle minacce a tratteggarli ieri in Corte d'Assise in Tribunale a Latina nel corso del processo che si sta svolgendo a carico dei due imputati accusati di aver picchiato a morte la donna. Ancora una volta dai racconti dei testimoni, a partire da una tassista che in divese occasioni aveva accompagnato Gloria a casa, alla proprietaria dell'abitazione dove la donna si prostituiva, lo scenario che è emerso sembra feroce.

Da una parte Gloria Pompili, i suoi due figli piccoli e dall'altra la zia e il compagno che la sfruttavano e le portavano via i soldi dell'attività di prostituzione e l'avevano imprigionata dentro una gabbia. Nel processo sul banco degli imputati c'è la zia di Gloria, Loide Del Prete e il marito di lei, il tunisino Saad Mohamed Elesh Salem, accusati di omicidio aggravato e poi anche Hady Saad Mohamed, marito di Gloria, è imputato, insieme agli altri due, di maltrattamenti in famiglia ai danni della giovane mamma e dei suoi due figli minori e di aver favorito e sfruttato la prostituzione di Gloria, sia nell'abitazione di via Saragat, sia nella zona dell'asse attrezzato di Frosinone e sulla Nettunense. Una schiavitù con ripercussioni sia fisiche che psicologiche.

Gloria è morta il 23 agosto del 2017 e la madre della giovane, Carmela Del Prete, ieri in aula davanti al presidente della Corte d'Assise Gian Luca Soana e al pm Carlo Lasperanza ha ripercorso quella telefonata, l'ultima della figlia. «Mi ha chiamato da un telefono pubblico e mi ha detto "Mamma ti volevo sentire", ma mi raccomando non dire niente a zia, non dirle che ti ho chiamato», a testimonianza della sudditanza psicologica di Gloria nei confronti della zia. La madre Il momento degli arresti: viene portato via dai carabinieri il marito della zia di Gloria Pompili La giovane di Frosinone venne trovato morta su una piazzola di sosta a Prossedi della vittima ha raccontato che la figlia era una persona ingenua e che quando la vedeva percepiva che le cose andavano male.

«Gloria non stava bene, anche i bambini avevano paura - ha raccontato - non pensavo facesse quella vita, pensavo lavorava in frutteria, così mi avevano detto. Quando mi ha detto che andava via di casa, mi ha detto che la zia le aveva offerto un lavoro». Nel corso del contro esame a cui la donna è stata sottoposta, ha riconosciuto nell'imputato l'uomo che l'aveva picchiata. «Sì anche davanti ai miei occhi è successo», ha detto e poi: «Gloria quando si è confidata con mei mi ha detto che altre sei volte era stata picchiata». Non ha avuto dubbi e tentennamenti la donna quando ha confermato che era l'imputato a picchiare la figlia. In aula ha parlato anche la proprietaria di un'abitazione dove per un certo periodo ha vissuto Gloria.

«Andavo a dare da mangiare ad alcuni animali che avevamo in un terreno, proprio dove abitava Gloria ha detto la donna e ho visto che mentre lei era in casa che si prostituiva perché stava con gli uomini, i due figli piccoli venivano messi in una cesta di plastica azzurra, appesa ad un filo fuori dal terrazzo di casa ad un metro di altezza. Quando l'ho vista questa cosa sono andata dagli assistenti sociali perchè ho pensato che il filo si poteva spezzare i due bambini si potevano fare male».
Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Rocco Marsiglia, Giuseppe Cosimato e Antonio Ceccani, mentre per la parte civile si è costituito l'avvocato Tony Ceccarelli. Alla fine il processo è stato rinviato al prossimo 5 febbraio. Fissate altre due udienze: sono in programma il 12 marzo e il 2 aprile.