Quella non era vita, era un'altra cosa: l'inferno. Sì, l'inferno di Gloria Pompili, una giovane donna e una giovane mamma uccisa a 23 anni, picchiata a morte davanti ai figli, due bambini piccoli. Era costretta a prostituirsi ed era finita dentro una prigione psicologica che è diventata la sua tomba. Inferno è la parola che rende l'idea quando ieri in aula in Corte d'Assise davanti al presidente Gian Luca Soana e al giudice Fabio velardi, hanno deposto alcuni testimoni nel processo che vede seduti sul banco degli imputati: la zia di Gloria, Loide Del Prete e il marito di lei, il tunisino Saad Mohamed Elesh Salem, accusati di omicidio colposo aggravato e poi anche Hady Saad Mohamed, marito di Gloria, è imputato, insieme agli altri due, di maltrattamenti in famiglia ai danni della Pompili e dei suoi due figli minori e di l'aver favorito e sfruttato la prostituzione di Gloria, nell'abitazione di via Saragat, nella zona dell'asse attrezzato di Frosinone e sulla Nettunense.

In aula hanno deposto un medico, un investigatore e un assistente sociale, le dichiarazioni, le espressioni e i concetti hanno portato dritti proprio dentro quella parola: inferno, una prigione a casa a Frosinone, in corso Lazio oppure l'auto, la Bmw da dove Gloria non poteva uscire quando doveva seguire i suoi aguzzini. La donna di 23 anni di Frosinone è morta per una lesione acuta e molto profonda alla milza, nel giro di almeno trenta minuti in quel viaggio atroce da Anzio fino a Frosinone. L'anatomopatologo che aveva eseguito una serie di esami insieme al medico legale Cristina Setacci, aveva confermato già in sede di indagini preliminari quando aveva consegnato l'elaborato peritale, la causa del decesso e anche ieri in aula di fronte ale domande del procuratore aggiunto Carlo Lasperanza ha sottolineato un punto nevralgico nel teorema accusatorio: la morte è stata provocata proprio dalla lesione alla milza e che inoltre il corpo presentava anche una vasta emorragia, a testimonianza della violenza.

È stato il turno poi di un carabiniere del Nucleo Investigativo che si era occupato delle indagini e anche in questo caso ha ricostruito l'inferno della donna, da Anzio dove veniva fatta prostituire fino a Prossedi, in una piazzola di sosta dove è morta a causa delle botte ricevute durante il viaggio di ritorno. L'inferno davanti anche ai figli piccoli di Gloria. L'investigatore ha ripercorso tutto il viaggio di ritorno grazie alla localizzazione dei telefoni cellulari dei due imputati e poi della vittima e ha ribadito come Loide e Salem costringevano la donna a darle tutto l'incasso della giornata. Sempre nel corso della testimonianza, è venuto alla luce anche un altro particolare raccapricciante.

Anche i bambini in un'occasione sono stati picchiati, così come la moglie di Salem che era stata refertata in ospedale.
Infine è stato il turno di un assistente sociale che ha descritto Gloria dal punto di vista caratteriale ed emotivo: era una donna che stava molto attenta a non far capire quello che accadeva a casa, che cercava di non tradire emozioni che era anche reticente, sempre per lo stesso motivo: la paura e ha aggiunto inoltre che i bambini erano tenuti abbastanza bene.
Alla fine il processo è stato rinviato al prossimo 7 gennaio quando si andrà avanti con altre testimonianze. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati difesi dagli avvocati Rocco Marsiglia, Giuseppe Cosimato e Antonio Ceccani, mentre per la parte civile si è costituito l'avvocato Tony Ceccarelli.