Il maxi risarcimento arriva dopo sei anni: oltre 800.000 euro per gli eredi della pensionata di Roccasecca morta dopo un intervento chirurgico e una lunga agonia. La somma di certo non restituirà la mamma e la moglie ai congiunti ma rappresenta un passaggio fondamentale quando si affronta il tema della "trasmissibilità del danno da perdita della vita agli eredi della vittima".

I figli e il marito della settantenne, rivolgendosi agli avvocati Di Murro-Perrozzi, hanno affrontato un complesso processo in cui sono stati contestati profili di responsabilità dapprima al Campus Bio Medico di Roma e all'Icot di Latina. Poi solo a quest'ultimo, poiché il giudice ha rilevato che al momento del secondo ricovero presso il Campus «la situazione clinica della paziente in conseguenza all'infezione batterica contratta veniva prontamente affrontata». La storia della settantenne di Roccasecca va ben oltre le cartelle cliniche, le sentenze sapientemente prodotte dalla difesa Di Murro-Perrozzi e dalle consulenze richieste: questa è la storia di una paziente che affronta un calvario durato oltre quaranta giorni di agonia. Un calvario, ovviamente, affrontato anche dai suoi cari.

La ricostruzione
La pensionata, ricoverata il 5 ottobre del 2012 al Campus dopo essere passata per i nosocomi di Pontecorvo e Formia, viene sottoposta a un duplice bypass coronarico. Resta al Campus fino al 16 ottobre, quindi viene trasferita all'Icot per riabilitazione. Il 7 novembre, però, la situazione si aggrava e il 25 muore al Campus dopo una «revisione della ferita». A causare il decesso, legato a uno choc settico, come dimostrato dal ctu, sarebbe stato un batterio contratto proprio in ospedale.

Per il giudice il «nesso causale tra il decesso della vittima e la condotta dei medici dell'Icot sarebbe riscontrabile nella forma della tardiva diagnosi e degli omessi trattamenti dell'infezione batterica». L'avvocato Di Murro, raggiunto telefonicamente, ha espresso ancora una volta vicinanza alla famiglia coinvolta, ribadendo allo stesso tempo l'importanza di credere nella giustizia anche durante un momento di grande sofferenza.