A morire a bordo di quella Smart bianca lungo la Casilina alle 15 di lunedì anche Antonio Russo. Il trentottenne era arrivato diversi anni fa da Sant'Antimo in cerca di lavoro, e l'aveva trovato. Si era fermato, prima a Colfelice, per un paio d'anni, poi tra Arce e Roccasecca.

Lui e Rudj erano inseparabili, amici e colleghi, era facile vederli insieme in giro, qualche anno di differenza tra i due, due vite diverse per certi aspetti ma molto uniti. Non era raro trovare Antonio nell'azienda di famiglia di Rudj, nell'agriturismo gestito dalla sua famiglia, Antonio era stato accolto come un familiare.
Ma Antonio una famiglia ce l'aveva e l'aveva lasciata a pochi chilometri da Napoli. Quando i genitori hanno saputo della sua morte e la notizia si è diffusa in città lo sconcerto non ha lasciato spazio ad altri sentimenti.

Ieri in tarda mattinata l'agenzia funebre è venuta a prendere il feretro di Antonio per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio di ritorno verso la sua terra d'origine. Alle 16 è arrivato al Santuario di piazza della Repubblica. Ad aspettarlo, per l'ultimo doloroso saluto, familiari, conoscenti e amici d'infanzia.
Antonio era partito, aveva lasciato gli affetti, forse alla ricerca di una vita migliore, di un posto in cui mettere radici. E ci era riuscito, aveva trovato nuovi amici, persone che gli volevano bene che lo avevano accolto come un fratello, un figlio. La sua morte, come quella di Rudj, non troverà mai una giustificazione.

Un dolore inaccettabile. Ieri il sole risplendeva e il cielo era chiaro e pulito, la tempesta ormai passata. Restava però il gelo nei cuori e nell'anima di chi ha perso un marito, un figlio, un amico, un padre.

Perché Rudj e Antonio erano questo, non solo due nomi, due automobilisti morti in un terribile incidente in un terribile giorno di pioggia. Non solo due trentenni schiacciati da un pino lungo una delle strade più trafficate e pericolose della provincia. Non solo un caso da prendere ad esempio per portare avanti una battaglia, seppur giusta.

Due persone morte in maniera assurda, nessuno le riporterà all'affetto dei loro cari. Come spiegare a un bambino che il padre se è andato perché un albero lo ha schiacciato a bordo della sua auto mentre tornava a casa da lui? Interrogativi che restano sospesi.
C'erano molte persone ieri ai funerali, ad Arce, un profondo silenzio avvolgeva tutto il paese, lacrime sui volti dei presenti e una domanda costante: perché? Come è stato possibile? Certo, le parole del parroco hanno offerto conforto, specie l'invito a ripiegare nella fede e ad accettare il volere di Dio, a comprendere che quello che ci accade, seppur inconcepibile, deve essere accolto anche se con immenso dolore.

Eppure Rudj non c'è più, il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore di chi lo ha amato e lo amerà ancora, nelle frasi di chi ne parlerà e racconterà a suo figlio chi era il papà. Un paese intero in lutto, il padre di Rudj è molto noto, esponente politico da anni e gestore di un agriturismo, nel quale spesso dava una mano proprio Rudj, laddove trascorreva molto tempo anche Antonio Russo, morto accanto a lui su quella maledetta Smart.

Una famiglia conosciuta e rispettata. Rudj è cresciuto tra le strade del paese. Da tempo Antonio e Rudj erano diventati inseparabili, uniti da una profonda amicizia e dal lavoro. Sono rimasti uniti fino alla fine, improvvisa e ingiusta, inaccettabile.
Ieri le comunità di Castrocielo, Arce e Colfelice si sono ritrovate in corso Umberto I, un fiume di persone come una lunga processione ha atteso e poi accompagnato il feretro di Rudj, portato a spalla dagli amici fino alla scalinata della chiesa di Santi Pietro e Paolo.

«Non è giusto», la frase che si è ripetuta durante tutto il tempo sul sagrato e lungo la strada, «Non è possibile uscire per andare al lavoro e morire così, schiacciati da un albero. A trentadue anni». Tantissimi i giovani presenti, uno di loro, Antonio, ha ricordato: «Rudj era spettacolare, sempre allegro, uno a cui piaceva scherzare. Un padre che si prestava al gioco, innamorato della famiglia e della vita».

Qualche signora lo ha descritto con affetto: «Ha sempre lavorato, ha sempre dato una mano alla famiglia. Era giovane, ma fin da ragazzino sembrava già un ometto, non aveva paura di rimboccarsi le maniche e aveva una parlantina con la quale conquistava».
In molti hanno preferito non parlare, volti rigati dalle lacrime, rabbia per l'accaduto, dolore per quello che la sua famiglia sta passando e con cui dovrà convivere per sempre. Un pensiero a quel bimbo che non potrà avere il papà accanto. Un papà che era uscito, nonostante la pioggia e il vento, per andare a guadagnarsi lo stipendio ma che ha trovato una morte assurda, schiacciato da un enorme pino, a una decina di chilometri da casa.

di: Paola E. Polidoro