Lo scandalo che ha investito Montecassino è scoppiato a novembre del 2015. Tre anni fa la Guardia di Finanza di Roma aveva disposto il sequestro di 4 conti bancari e di 2 appartamenti in via Prenestina a Roma, iscrivendo nel registro degli indagati Pietro Vittorelli e suo fratello Massimo. Il campanello d'allarme che fece accendere i motori delle Fiamme gialle fu un'operazione sospetta: nessuna "gola profonda", come dissero gli inquirenti ma movimentazioni di denaro che fecero salire il livello d'allerta. «Opere caritatevoli che non facevano tornare i conti» come disse il gip Passamonti, attraverso cui l'ex abate «avrebbe distratto i fondi sia della diocesi che dell'abbazia fatti transitare su conti sospetti». Un'inchiesta affidata agli uomini del colonnello Joseph Santini che eseguirono un sequestro per equivalente in via cautelativa. Fu un risveglio amaro per tutti: fedeli, comunità benedettina, cittadini di San Vittore del Lazio (città di origine di dom Pietro). La comunità monastica si chiuse nel silenzio, le telecamere dei media nazionali entrarono ovunque, il cardinal Bagnasco fece appello alla Fede. Ora la parola passa ai giudici.

Vittorelli e suo fratello oggi davanti al giudice. Prima udienza dibattimentale questa mattina per appropriazione indebita a carico di dom Pietro: nell'ipotesi della procura di Roma, la sottrazione di somme, ingenti, destinate ai bisognosi.
Lo scandalo è quello delle "spese pazze" del 2015 e, al di là di quanto verrà stabilito dai giudici, rappresenta ancora una ferita non solo per l'abbazia benedettina. Le accuse, ovviamente, fanno riferimento a quei 500.000 euro destinati a opere caritatevoli o di culto e che, invece, per i magistrati di Roma sarebbero stati "dirottati" verso viaggi e lussi.
Nessuno, invece, né la diocesi né il monastero hanno mai lamentato nulla, come ribadito dalla difesa dell'abate emerito, pronta a dimostrare tutto ribattendo alle accuse, punto per punto. Dalle 9.30 Vittorelli assistito dai suoi avvocati, Sandro Salera e Bartolo affronterà il processo insieme a suo fratello Massimo (rappresentato dall'avvocato Matteo Maria La Marra) chiamato invece a rispondere di riciclaggio. Le difese hanno già le armi ben affilate: nessuna sottrazione illecita, nessun ammanco.

La Finanza raccolse prove a carico del dom per «aver utilizzato a scopi personali i soldi dell'otto per mille fatti transitare su conti sospetti grazie all'aiuto del fratello Massimo, al tempo intermediatore finanziario»: ipotesi che sostanziò i sequestri di case e conti per circa 500.000 euro. Oggi le difese proveranno a demolire (prove alla mano) queste ipotesi: sul conto corrente di Montecassino, su cui confluiscono i fondi destinati all'otto per mille «non è stato sottratto un solo centesimo.
Le somme prelevate per le cure necessarie a dom Pietro Vittorelli sono invece state prelevate da quel conto dell'abbazia in cui confluiscono tutti gli atti dei possedimenti immobiliari di Montecassino. Sostanzialmente la famiglia di un membro della comunità monastica è proprio la stessa comunità monastica. Quindi hanno ribadito le difese quando un membro ha bisogno di cure, i soldi vengono prelevati dal conto di "famiglia": dunque, da quello di Montecassino. Non certo sarebbero potute essere somme "fornite" dallo Stato italiano, come invece ipotizzato dalle accuse che fanno riferimento a ben altri conti.
Stessa considerazione per suo fratello Massimo, che con l'abate emerito aveva il conto cointestato: durante il duro periodo della malattia, solo lui avrebbe potuto fisicamente provvedere a saldare conti per cliniche, fisioterapia e tutto il necessario per la riabilitazione». Ora la battaglia si sposta in aula: dopo rinvii e lunghe attese, il processo può partire.

di: Carmela Di Domenico