Insieme all'altro imputato Michel Fortuna, Franco Castagnacci era presente in aula, giovedì, quando il gup ha deciso di rinviarlo a giudizio per l'omicidio di Emanuele Morganti. Una scelta per certi versi ampiamente prevedibile, ma non scontata. Alla luce anche di quanto successo a febbraio, quando le difese avevano cercato di far spostare il processo in un'altra sede giudiziaria.
«La difesa di Franco Castagnacci si basa in parte sul lavoro fatto dalla procura, il cui consulente ha individuato la causa della morte di Emanuele Morganti nell'urto violento del capo contro il montante di un'auto in sosta in piazza Regina Margherita», spiega l'avvocato Marilena Colagiacomo.
«Sempre la procura ritiene che a determinare la caduta fatale siano stati i colpi inferti dagli altri coimputati poco prima che il povero Emanuele perdesse i sensi», continua il legale che, in udienza preliminare, aveva provato a sminuire le responsabilità del cliente. L'avvocato definisce «un dato di fatto incontrovertibile che Franco Castagnacci era fisicamente lontano dal punto in cui Emanuele veniva colpito e quindi estraneo al pestaggio che l'accusa ritiene essere la causa della morte».
La Colagiacomo insiste: «Franco è stato comunque accusato attraverso quella che sembra essere una vera e propria acrobazia logico-giuridica. Infatti, l'accusa sostiene che il contributo causale del mio assistito sia ravvisabile nell'aver impedito a Gianmarco Ceccani di saltare l'alto muro di via dei Vineri e, in questo stesso gesto, ritiene di individuare l'esternazione dell'intenzione omicida di Franco Castagnacci. Il salto logico dell'accusa, dunque, sta nel ritenere tale gesto dolosamente orientato ad impedire a Gianmarco Ceccani di raggiungere e soccorrere l'amico in difficoltà. Invece, a parere delle difesa, si tratta a dir poco di un azzardo, perché è lo stesso protagonista dell'episodio, ovvero Gianmarco Ceccani, ad aver fin da subito spiegato che Franco Castagnacci lo bloccava con il manifestato intento di evitare che si facesse male saltando il muro. La semplice misurazione dell'altezza dal parapetto al suolo dimostra che si sarebbe trattato di un salto di oltre 3 metri; un dato, questo, che conferma sia le parole di Gianmarco Ceccani, sia la spiegazione già resa da Franco Castagnacci agli inquirenti».
L'avvocato ritiene che «questo sarà il fulcro del dibattimento, per quanto riguarda l'accusa a Franco Castagnacci; la difesa però non si esaurirà solo nell'analisi di quel gesto, ma riguarderà l'attendibilità e la credibilità di alcuni dei testimoni chiave dell'accusa e l'esame di alcuni elementi oggettivi trascurati dagli inquirenti».