Matteo Sbaraglia quando uccise Domenico Pascarella non era capace di intendere e volere. E, dunque, sulla base della perizia psichiatrica, il gup del tribunale di Frosinone Antonello Bracaglia Morante ha pronunciato una sentenza di proscioglimento. Condanna evitata, come anche la Rems. Il giudice, infatti, ha stabilito la libertà vigilata per Sbaraglia a patto che si sottoponga a un programma terapeutico con cure specialistiche.

Lo scorso 21 ottobre Domenico Pascarella, conosciuto da tutti come Mimmo, viene trovato morto in casa. Subito i sospetti ricadono sul suo vicino di casa, in quell'appartamento di via Sardegna. L'uomo dopo un breve inseguimento venne bloccato dai carabinieri.
In base alla ricostruzione dei fatti, nel cuore della notte, intorno alle 4 di quel sabato, Sbaraglia bussava alla porta del vicino di casa. Uno o probabilmente più colpi alla porta con una mazza da baseball. La stessa, una volta che Mimmo ha aperto la porta, usata contro di lui. Secondo le accuse, senza apparente motivo Sbaraglia ha colpito per tre volte il vicino con il bastone. Pascarella è stramazzato al suolo, mentre Sbaraglia - secondo quanto da lui riferito al pubblico ministero in sede di interrogatorio - si sarebbe rintanato per qualche ora in casa, avendo compreso di aver fatto «un grosso guaio». Quindi, una volta che i parenti del morto, non vedendolo, erano andati a cercare Mimmo era fuggito senza meta per Alatri. Nel suo girovagare avrebbe incontrato anche un ragazzo, il quale era riuscito ad allontanarsi senza problemi. Quindi, trovato dai carabinieri era stato sottoposto a fermo.

Nel corso della stessa serata, nel primo interrogatorio davanti al sostituto procuratore Vittorio Misiti aveva dichiarato che, quella notte, poteva capitare a chiunque. La ricostruzione dei fatti, tuttavia, anche negli interrogatori successivi non era mai stata né lucida né precisa. In un altro interrogatorio aveva riferito di essersi impaurito alla vista di un'auto sotto casa e di aver perso in mano la mazza, senz'altro aggiungere di utile. Le indagini, comunque, sono andate avanti anche con l'ausilio dei carabinieri del Ris che hanno effettuato un sopralluogo nei due appartamenti, in quello della vittima e in quello dell'omicida alla ricerca di tracce di Dna. Gli esami, durati ben quattro ore, si erano concentrati anche sull'arma del delitto.
Era stata poi disposta una consulenza psichiatrica affidata al dottor Ottavio Di Mario con l'obiettivo di valutare le condizioni dell'arrestato, alla luce anche dei suoi trascorsi, considerato che era in cura nel centro di salute mentale. Il consulente aveva concluso il lavoro sostenendo che Sbaraglia al momento dell'aggressione al vicino era incapace di intendere e volere, ma che era pienamente capace di partecipare al processo. A quel punto la procura aveva chiesto il giudizio immediato, inducendo la difesa di Sbaraglia, rappresentata dall'avvocato Tony Ceccarelli, ad optare per il rito abbreviato. Nel corso del processo, peraltro, la famiglia Pascarella si è costituita parte civile, affidando il mandato all'avvocato Alessandro Ruotolo del foro di Santa Maria Capua Vetere.

Ieri, l'epilogo giudiziario con la decisione del gup, sulla base della perizia psichiatrica, di dichiarare il proscioglimento. Il giudice ha però riconosciuto la pericolosità sociale dell'imputato. Lo ha sì scarcerato da Regina Coeli dove Sbaraglia era ristretto, ma gli ha imposto la libertà vigilata. Ovvero di seguire uno specifico programma terapeutico presso una comunità. L'Asl di Frosinone avrebbe già predisposto un piano, manifestando la disponibilità a prendere in carico Sbaraglia. L'avvocato Ruotolo, intanto, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza annuncia che «valuteremo di presentare ricorso come anche di avviare un'eventuale azione civile nei confronti delle autorità che dovevano vigiliare e non l'hanno fatto».