A 26 anni dalla Legge 257/92 che ha messo al bando l'amianto, in Italia sono 370.000 le strutture dove è presente la fibra killer, censite al 2018 dalle Regioni, per un totale di quasi 58.000.000 di metri quadrati di coperture in cemento amianto. Lo rileva il dossier "Liberi dell'amianto? I ritardi dei Piani regionali, delle bonifiche e delle alternative alle discariche", realizzato da Legambiente a tre anni dall'ultimo report (2015). Delle 370.000 strutture che contengono amianto, 20.296 sono siti industriali (quasi il triplo rispetto all'indagine del 2015), 50.744 sono edifici pubblici (+10% rispetto al 2015) e 214.469 privati (+50%), 65.593 le coperture in cemento amianto (+95%) e 18.945 altra tipologia di siti (dieci volte di quanto censito nel 2015). Il dossier è stato realizzato sulla base delle risposte date dalle Regioni (15 su 21, mancano all'appello Abruzzo, Calabria, Liguria, Molise, Toscana e Umbria) al questionario inviato.

Sono 66.087 i siti mappati dalle Regioni che hanno risposto al questionario di Legambiente (rispetto agli 88.000 dichiarati dal ministero dell'Ambiente), per un totale di oltre 36,5 milioni di metri quadrati di coperture. Di questi 66.087, 1.195 sono quelli mappati ricadenti in I Classe (quella prioritaria in cui bisognerebbe intervenire con maggior urgenza), erano 360 nel 2015. Di questi 1.195, 804 sono solo in Piemonte. Di fronte a questa situazione, le procedure di bonifica e rimozione dall'amianto nel nostro Paese sono ancora in forte ritardo: sono 6.869 gli edifici pubblici e privati bonificati ad oggi su un totale, ancora sottostimato, di 265.213 (tra edifici pubblici e privati). Un quadro preoccupante, anche a livello sanitario. Stando agli ultimi dati diffusi dall'Inail, in Italia sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2012, di cui il 93% dei casi a carico della pleura e il 6,5% (1.392 casi) peritoneali, e oltre 6.000 morti all'anno. A livello regionale i territori più colpiti sono Lombardia (4.215 casi rilevati), Piemonte (3.560), Liguria (2.314), Emilia Romagna (2.016), Veneto (1.743), Toscana (1.311), Sicilia (1.141), Campania (1.139) e Friuli Venezia Giulia (1.006).

Tallone d'Achille resta lo smaltimento dell'amianto. Insufficienti gli impianti di smaltimento presenti e previsti. Le regioni dotate di almeno un impianto specifico per l'amianto sono solo 8 (erano 11 nel 2015) per un totale di 18 impianti (erano 24 fino a pochi anni fa): in Sardegna e Piemonte ce ne sono 4 (di cui uno per le sole attività legate al Sin di Casale Monferrato in Piemonte), 3 in Lombardia e 2 in Basilicata ed Emilia Romagna. Uno solo l'impianto in Friuli Venezia Giulia, Puglia e nella Provincia Autonoma di Bolzano. Ad oggi gli impianti sono quasi pieni, le volumetrie residue comunicate con i questionari sono pari a 2,7 milioni di metri cubi (un terzo in meno rispetto ai 4,1 milioni di mc del 2015) e sarebbero a malapena sufficienti a smaltire i soli quantitativi già previsti, ad esempio, dal Piano Regionale della Regione Piemonte che stima in 2milioni di metri cubi i quantitativi delle coperture in cemento amianto ancora da bonificare. E non si vede la luce neanche per i nuovi impianti previsti dai vari piani regionali sui rifiuti: solo la Basilicata ha previsto 2 impianti da 100mila mc di materiale; Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Puglia non indicano un numero esatto di impianti previsti ma indicano la necessità di averne di nuovi nel proprio territorio. Secondo i dati di Ispra, nel 2015 in Italia sono state prodotte 369mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto (71% al Nord, 18,4% al Centro e 10,6 al Sud). Di queste, 227mila tonnellate sono state smaltite in discarica mentre 145.000 tonnellate di rifiuti contenenti amianto sono stati esportati nelle miniere dismesse della Germania. A gravare sulle spalle del Paese, anche i ritardi legati agli obblighi di legge e, in particolare, ai piani regionali amianto (Pra) che dovevano essere pubblicati entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge e che mancano ancora in alcune Regioni, ma anche alle attività di censimento e mappatura, alle bonifiche dei siti contaminati, che procedono a rilento, e alle campagne di informazione e sensibilizzazione.

Il piano regionale amianto, previsto dalle L.257/92, nel 2018 deve essere ancora approvato in due regioni, il Lazio e la Provincia Autonoma di Trento. Tredici Regioni su 15 hanno dichiarato invece di averlo approvato, alle quali si aggiungono Liguria, Umbria e Toscana che già nel 2015 avevano dato l'ok al Pra. Abruzzo, Calabria e Molise non hanno risposto. Il censimento è stato completate da 6 Regioni su 15 (Campania, Emilia Romagna, Marche - solo per edifici pubblici e imprese-, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento e Valle d'Aosta), ancora in corso in 9 Regioni su 15. La mappatura dell'amianto è stata realizzata da 7 amministrazioni (Campania, Emilia Romagna, Marche, Puglia, Sardegna, Valle d'Aosta e Provincia Autonoma di Trento). È ancora in corso in Basilicata, nella provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sicilia e Veneto. Non risulta fatto nel Lazio. Stando ai dati forniti nel 2015, la mappatura risulterebbe completata anche in Liguria, Lombardia, Molise Toscana e Umbria, mentre era in ancora in corso in Calabria (che invece quest'anno non ha risposto). Non risultano dati per l'Abruzzo. Inoltre sono solo 10 le regioni che hanno inviato al ministero dell'Ambiente le informazioni richieste annualmente sulla presenza di amianto. Cosa fare? Per Legambiente serve una concreta azione di risanamento e bonifica che passi attraverso la rimozione dell'amianto da siti industriali, edifici pubblici e privati e occorre ripristinare gli incentivi per la sostituzione dei tetti con amianto con coperture solari. Uno strumento che in passato ha portato alla bonifica di 100.000 metri quadri di coperture e oltre 11 MWp di impianti fotovoltaici installati. Al Parlamento Legambiente chiede che si riprenda la discussione del "Testo Unico per il riordino, il coordinamento e l'integrazione di tutta la normativa in materia di amianto", presentato nel novembre del 2016 al Senato e bloccato da due anni a Palazzo Madama.