«Alle 3 siamo stati svegliati dal suono del citofono. Siamo andati a vedere chi ci cercasse nel cuore della notte. Io ho avuto subito uno strano presentimento. Per tutta la sera mi ero sentita già strana, non riuscivo a stare rilassata. Ero andata a letto da poco. Sulla porta c'erano i carabinieri che ci informavano di quello che era accaduto a mio fratello. Speravo fosse un incubo».

La voce di Giovanna, sorella di Angelo D'Emilio, si interrompe, le lacrime scorrono sul suo viso, mentre tra le mani tiene il cellulare pronta a farci vedere foto e video di suo fratello, ricordi di momenti felici e messaggi che mostrano il legame forte che c'era tra i due e tutta la famiglia. Ma Giovanna non ha solo lacrime da versare, una dietro l'altra, ha tanta forza e con quella stessa forza, insieme alla determinazione, vuole avere giustizia per suo fratello, di 35 anni, morto in un incidente stradale lo scorso 29 giugno, sulla superstrada 699 Terracina-Prossedi, meglio nota come superstrada Frosinone-mare. Circa cinque mesi e la famiglia D'Emilio attende giustizia per Angelo. Il trentacinquenne stava percorrendo la superstrada in direzione di Frosinone a bordo della sua Lancia Musa, era di ritorno da una serata trascorsa con gli amici a Terracina, quando la sua auto, poco prima dello svincolo per Sonnino, è stata violentemente tamponata da una Nissan Qashqai, guidata da un ventinovenne L.P. di Terracina, che percorreva la superstrada nello stesso senso di marcia. Dagli esami tossicologici, effettuati all'ospedale "S. Maria Goretti" di Latina è risultato che il terracinese era alla guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Per cui, i carabinieri di Priverno, nei suoi confronti avevano fatto scattare la denuncia per i reati di "guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e omicidio stradale".
«Lo so che purtroppo nessuno mi riporterà indietro mio fratello, ma non è giusto che dopo cinque mesi tutto tace. Non sappiamo più nulla. Ci rendiamo conto che i tempi della giustizia, purtroppo, troppo spesso sono lunghi, ma perdere una persona cara in questo modo distrugge l'anima». Giovanna continua a tenere tra le mani il cellulare, come fosse un album.
E continua a mostrarci le foto di Angelo, anche con i nipoti. «Angelo, di nome e di fatto, perché aveva un cuore grande, un bravissimo ragazzo, viveva con i nostri genitori, al piano di sopra. Eravamo tutti nella stessa casa. Lo vedevo uscire e rientrare.
Quella sera però, del 29 giugno scorso, purtroppo non è più rientrato. Dentro di me ho avvertito già da qualche ora prima uno strano presentimento. Non riuscivo a stare in casa, entravo e uscivo. Poi alle 2 sono andata a letto e alle tre siamo stati svegliati dai carabinieri. Mio marito è andato, poi, a fare il riconoscimento».
La voce di Giovanna si interrompe di nuovo - provo a farmi forza, anche per la mia famiglia, ma non è semplice. Non riesco neanche più a passare su quella strada dove mio fratello è morto. Il dolore è troppo forte. Ora chiediamo giustizia, vogliamo che la giustizia faccia il suo corso. Non è possibile che da cinque mesi tutto tace». Un dolore grande di una sorella, che continuando a tenere stretto quel telefonino di ricordi, ha trovato la forza di chiedere di non dimenticare.
Abbiamo contattato anche i legali della famiglia D'Emilio, gli avvocati Alessandro Petricca e Davide Ferazzoli, i quali si stanno impegnando non soltanto per curare l'aspetto civilistico, ma per far in modo che l'eventuale colpevole vada incontro ad una sentenza di condanna esemplare.