Il giallo di Marina Arduini verso l'archiviazione. È quanto ha formalmente chiesto, ieri mattina, il procuratore di Frosinone Giuseppe De Falco al gip Ida Logoluso, che si è riservata una decisione sull'istanza. Gli indagati sono due, entrambi di Alatri, l'imprenditore A.C. e una donna F.Q. L'ipotesi d'accusa, nonostante ancora il cadavere di Marina non sia stato trovato, è di omicidio e occultamento di cadavere.
La commercialista di Frosinone, 39 anni, è scomparsa il 19 febbraio 2007. Da allora nessuna notizia. L'inchiesta condotta dalla procura di Frosinone ha portato a una prima archiviazione. Negli ultimi tre anni sembrava che qualcosa potesse cambiare. La procura insiste e iscrive nel registro degli indagati un imprenditore di Alatri, amante di Marina, che, sulle prime, aveva negato agli investigatori la relazione. Polizia e carabinieri iniziano a scavare nel suo passato e in quello di Marina. E scoprono cose interessanti. Risalgono a un agriturismo di Tecchiena dove la coppia a volte era stata. È lì che, nel gennaio del 2015, vengono effettuati dei rilievi con i cani molecolari e il georadar. Si cerca il corpo di Marina. Ma anche in quell'occasione senza esito. Si segue anche la pista dei soldi.
Il giorno della scomparsa, Marina avrebbe dovuto denunciare una truffa. Si era accorta che le era stata addebitata sul conto una rata di 288 euro per un finanziamento mai sottoscritto per l'acquisto di piastrelle. Ma quell'acquisto da tredicimila euro lei non l'aveva chiesto. Ci saranno anche delle perquisizioni in banca e alle Poste per visionare i movimenti bancari dell'indagato, ma anche qui senza quel salto di qualità che dall'indagine ci si aspettava.
Ottenuta per ben tre volte la proroga a indagare, la procura, per il momento, getta la spugna. È stato così lo stesso procuratore Giuseppe De Falco a chiedere l'archiviazione. Un'archiviazione che potrebbe anche preludere a una nuova inchiesta qualora dovessero emergere elementi nuovi. Al momento quelli esistenti non potrebbero condurre a una condanna degli indagati - è il ragionamento fatto dalla procura.
Tesi non condivisa dalla famiglia Arduini che, da anni, chiede giustizia per Marina. In aula, infatti, erano presenti i genitori della scomparsa. I loro legali, gli avvocati Gennaro Gadaleta dell'associazione Penelope, più volte intervenuto anche a "Chi l'ha visto?", e Nicola Ottaviani hanno invece chiesto di indagare ancora e hanno offerto spunti investigativi.
Hanno ribadito i dubbi sul percorso compiuto da Marina quella mattina. Se è andata a Roma - dato che anche questo elemento la famiglia mette in dubbio - Marina non si sarebbe spostata in treno nel primo pomeriggio sulla direttrice tirrenica della Roma-Napoli. Il cellulare di Marina in quelle ore agganciò le celle di Gaeta e Formia e poi, per l'ultima volta, intorno alle 17.10 quella di Salerno. Per i legali è stato un depistaggio: non era Marina a muoversi, ma era qualcuno che portava il cellulare tanto che, prima di Salerno, qualcuno, per appena sette secondi, rispose alla chiamata di un'amica di Marina, restando però muto. Chi era a rispondere? È uno dei tanti interrogativi insoluti. Gli Arduini hanno proposto di indagare anche sul conto di due malavitosi romeni, presenti nella capitale. E ancora di compiere ulteriori ricerche nell'agriturismo già ispezionato con il georadar e i cani molecolari. Hanno sollecitato un'ispezione dei terreni vicini. Gli avvocati hanno chiesto di analizzare anche la banca dati dei cadaveri scomparsi. A giugno 2017 nel Lazio ce n'erano 220. E uno di questi, una donna con un giubbino nero, potrebbe corrispondere alla descrizione di Marina. Per questo è stato chiesto l'esame del Dna.
La difesa, composta dagli avvocati Giampiero Vellucci e Mario Cellitti, ha chiesto di dichiarare inammissibile la richiesta di opposizione all'archiviazione degli Arduini. «Seppur con massimo rispetto nei confronti della famiglia della povera Arduini - ha detto Vellucci - il procedimento deve chiudersi con un proscioglimento del mio assistito perché c'è prova certa negli atti che il 19 febbraio 2007, giorno della scomparsa di Marina, la ragazza si fosse portata a Roma mentre il mio assistito è rimasto ad Alatri. Al di là delle contraddizioni e inesattezze in ordine all'alibi è provato che la cella telefonica agganciata dal cellulare del mio assistito era quella di Alatri e non ci sono nemmeno avvicinamenti tra i due».