Un'indagine lunga. Che ha provato a ricostruire attimo dopo attimo, fotogramma dopo fotogramma quello che è accaduto all'esterno del Miro music club di Alatri la notte tra il 24 e il 25 marzo scorsi. È lì che inizia e finisce l'ultima serata in allegria del ventenne di Tecchiena Emanuele Morganti, ignaro del destino a cui va incontro. Ma ricostruire quanto accaduto tra deposizioni contrastanti, false verità, depistaggi, resoconti che cozzano con altre testimonianze, non è facile. I carabinieri che, da marzo, indagano sul delitto del giovane di Alatri non hanno lasciato nulla al caso. Hanno ricostruito più volte, anche con la presenza sul posto dei testimoni, la scena del crimine. Hanno chiesto aiuto al Ris che ha fatto una serie di accertamenti tecnici. E ora, con il quarto arresto, le indagini si avviano verso la conclusione.
L'ultima notte
È notte quando Emanuele, in compagnia della fidanzata, e di due coppie di amici varca le porte del Miro. Si avvicina al bancone e ordina da bere. Ma ha un diverbio con un altro avventore. Gli animi si scaldano e interviene la sicurezza. Emanuele, a forza, viene condotto fuori dal locale. La tensione è altissima. Fuori la situazione precipita. Morganti viene affrontato da più persone e picchiato selvaggiamente. In tre momenti diversi. Piazza Regina Margherita diviene così teatro di una violenza senza senso. Senza un apparente motivo, sul quale da mesi indagano il procuratore Giuseppe De Falco e i sostituti Vittorio Misiti e Adolfo Coletta.
Il montante della Skoda
Quando Emanuele viene colpito per l'ultima volta stramazza al suono, non prima di aver sbattuto contro il montante di una Skoda parcheggiata. All'arrivo dei carabinieri le condizioni di Emanuele appaiono critiche. Viene soccorso dal 118, portato a Frosinone, e da qui, d'urgenza, trasportato a Roma, all'Umberto I. Ma nel pomeriggio di domenica Emanuele muore.
I primi fermi
Sin dall'inizio vengono ascoltate diverse persone. Ma non si capisce se Emanuele sia stato colpito per uno scambio di persona o se sia rimasto vittima di una vendetta. I carabinieri si concentrano così su due persone. I primi ad essere arrestati, due giorni dopo la morte di Emanuele. Sono Mario Castagnacci, 27 anni, e Paolo Palmisani, 20, entrambi di Alatri, autori di una fuga a Roma, forse per paura di ritorsioni. Ma nella capitale vengono rintracciati dagli uomini dell'Arma. Da allora sono in carcere. Dopo l'arresto si scopre un particolare che scatena una ridda di reazioni. Mario Castagnacci il giorno precedente l'aggressione di Morganti era stato arrestato, per droga a Roma. Insieme a lui anche altre tre persone. L'indomani mattina, ovvero il giorno del pestaggio, portati davanti a un giudice, i quattro vengono scarcerati. Il pm, un magistrato onorario, non chiede infatti alcuna misura restrittiva. Il giudice, pertanto, non può fare altro che rimetterli in libertà. Un comportamento approvato anche dal Csm, chiamato in causa dopo le polemiche seguenti alla notizia della scarcerazione lampo di Roma.
La scena riprodotta
Ma si indaga ancora. Si cerca di capire i ruoli di tutti i partecipanti. Per questo, a più riprese. I testimoni vengono convocati in piazza Regina Margherita. Alcuni con il volto coperto per non essere riconosciuti. La procura dubita su diverse ricostruzioni. Alcune sono ritenute, vista la concitazione dei momenti, logicamente contraddittorie, altre, invece, non convincono proprio. I carabinieri temono che qualcuno voglia coprire le responsabilità di altri. E per questo scavano. Sentono tante altre persone (circa duecento quelle ascoltate in totale). E si affidano ad almeno un paio di supertestimoni che potrebbero risultare determinanti.
Il terzo uomo
Scavando ed indagando si arriva al 10 aprile. Ai primi due arrestati si aggiunge anche un terzo uomo: a finire dietro le sbarre è Michel Fortuna, frusinate di 24 anni. Si nascondeva in casa della madre in viale Parigi. Ma con tre persone in carcere e cinque indagati, inizialmente tutti per rissa, poi la contestazione diventa di concorso in omicidio, l'indagine non si ferma. E tra gli indagati c'è anche Franco Castagnacci, 50 anni, padre di Mario. Con loro anche o quattro buttafuori in servizio quella sera ad Alatri. Dove arrivano pure i carabinieri del Ris. A loro il compito di trovare tracce ematiche e di Dna su un manganello e sul montante della Skoda sul quale Morganti si è abbattuto dopo esser stato colpito l'ultima volta. Sono loro che entrano nel Miro sotto sequestro per effettuare i rilievi richiesti dalla procura. Gli stessi Ris partecipano alle varie ricostruzioni dell'accaduto in piazza Regina Margherita.
A luglio, Paolo Palmisani e Mario Castagnacci vengono sottoposti a un lungo interrogatorio da parte del procuratore Giuseppe De Falco. Inizialmente, subito dopo l'arresto, infatti, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Per nove ore i due hanno avuto modo di spiegare la propria posizione. Lo hanno fatto respingendo le accuse con una serie di dichiarazioni senza, però, convincere la procura che le ritiene smentite dai fatti e da altre deposizioni. Si continua ad indagare. Magari sotto traccia, lontano dalle luci dei riflettori che ad Alatri hanno portato le telecamere delle tv e la stampa nazionale. Non senza polemiche. Più di qualcuno non ha gradito come la cittadina è stata dipinta sui media nazionali.
I dati dell'autopsia
A fine agosto, intanto, vengono resi noti i risultati dell'esame autoptico sul corpo di Emanuele. Il consulente tecnico Saverio Potenza incaricato dal pubblico ministero di far luce sulle cause della morte di Emanuele Morganti si lascia aperte due possibilità. In base all'esito dell'autopsia, Emanuele è morto per una grave emorragia cerebrale dovuta a una frattura cranica nella regione fronto-parietale sinistra. Per il perito la lesione va ricondotta a un «mezzo di natura contusiva di forma allungata e a superficie relativamente ampia». Pertanto la lesione può essere «pienamente compatibile con un urto violento del capo contro un ostacolo fisso e rigido come in particolare il montante trasverso di uno sportello chiuso di un'autovettura (la Skoda parcheggiata in piazza, ndr) su cui il soggetto, cadendo pesantemente, possa aver battuto con il capo». Al tempo stesso, tuttavia, il consulente tecnico lascia aperta una seconda possibilità, e cioè non esclude una «teorica compatibilità con un bastone o un manganello vibrato attivamente e violentemente».
Il consulente ha esaminato le lesioni nella parte posteriore del capo che sarebbero pienamente compatibili con i pugni sferrati alle spalle di Emanuele durante una colluttazione. Le ferite alle braccia, invece, possono essere interpretate - secondo il consulente - con tentativi di immobilizzazione di Emanuele da parte di terze persone che volevano aggredirlo. O favorire l'aggressione da parte di altri.
Passa un altro mese e in procura viene convocato uno dei buttafuori indagati. L'albanese Pjetri Xhemal decide però di avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma la procura insiste e vengono sentiti altri testimoni. Si cerca di incastrare i tasselli mancanti di un puzzle che fatica a prendere una forma definitiva. Non fosse altro per il fatto che manca ancora la risposta alla domanda principale: perché Morganti è stato ucciso? Sul movente si scava ancora.
Una lettera toccante, parole che arrivano al cuore, lo toccano, lo fanno lacrimare. Pensieri rivolti a chi non c'è più, a chi ha amato e da cui è stata amata, e che qualcuno ha deciso, con violenza bruta, che non doveva più vivere. Le ha pubblicate sulla sua bacheca Facebook Ketty Lisi, la fidanzata di Emanuele Morganti, il 24 ottobre scorso, a sette mesi esatti dal massacro del giovane di Tecchiena di Alatri. Ketty che non sa darsi pace, che cerca Emanuele ovunque e in ogni istante. Ketty che soffre e ama ancora il suo angelo. Ketty che era con lui in quella maledetta notte e che non ha potuto impedire l'atroce omicidio. E che da mesi è impegnata in una raccolta firme, sul sito change.org, per chiedere una giustizia esemplare per il suo, sempre suo, Emanuele. Ve le proponiamo certi che ognuno, leggendole, proverà le stesse sensazioni e vibrazioni che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, prova Ketty pensando al suo Emanuele. E perché il ricordo del ragazzo non sbiadisca mai, così come non si affievoli mai la memoria di quello che è stato capace di fare un branco di belve inferocite.
KETTY RICORDA EMANUELE MORGANTI
"Sarebbe meraviglioso tornare indietro e rivivere quei momenti. Giorni, ore e minuti di spensieratezza, felicità e amore. Io non so come si fa, non ero pronta a perderti. Sento addosso ancora il tuo profumo, la dolcezza dei tuoi ultimi baci, il calore dei tuoi ultimi abbracci. Quella sera avrei dovuto dirti grazie, grazie per tutto quello che hai fatto per me. Parole che ti avrei detto una volta arrivati davanti casa mia. Non c'è più stato un poi. Non lo accetterò mai. La mancanza si sente sempre di più. La tua voce, la tua magnifica risata, i tuoi occhi, le tue mani con cui mi accarezzavi delicatamente, le tue braccia che mi avvolgevano e mi facevano scordare tutto il resto, i tuoi baci, il tuo modo di fare, le tue battute, il tuo modo di scherzare. Mi manchi come l'aria. Sei ovunque, ogni piccola cosa mi ricorda te, ma anche se sei ovunque, anche se so che adesso tu sei il mio piccolo angelo custode hai lasciato un vuoto incolmabile, una voragine che mai nessuno riuscirà a colmare. Tu meritavi di vivere, meritavi di fare tutte le esperienze che ti avrebbe regalato la vita, meritavi di crescere (perché a vent'anni non si può morire così) meritavi di diventare padre, meritavi di invecchiare e diventare nonno, meritatevi tutte le cose belle della vita. Solo un anno fa eravamo così. ~And I will love you until I take my last breath in this earth".
di: Danilo Del GrecoÈ stato prima aggredito fuori dal locale, poi inseguito fino alla parte alta di piazza Regina Margherita. Emanuele Morganti, 20 anni, ha subito capito di essere in pericolo. Ha tentato di fuggire. Correva sempre più forte, più lontano possibile da quel luogo che è diventato, poco dopo, una gabbia da dove non è più uscito vivo. È stato braccato e colpito in un primo momento da chi, fino ad ora, in sette mesi, era finito solo nel registro degli indagati per omicidio: Franco Castagnacci, 50 anni, di Alatri, l'uomo che ha bloccato l'amico che voleva aiutare il giovane, consegnandolo a chi lo ha portato alla morte. Castagnacci ha cercato di "zittire" e far dire falsa testimonianza ad alcuni dei duecento testimoni ascoltati dagli investigatori.
Queste le accuse che vengono mosse al cinquantenne dagli inquirenti. Dall'estate scorsa per lui si sono aperte le porte della casa circondariale di Velletri, ma per reati di droga. Ieri mattina, invece, è arrivata l'accusa più grave, quella di concorso in omicidio volontario, poiché coinvolto, insieme al figlio Mario, a Paolo Palmisani e a Michel Fortuna, nella feroce aggressione che ha provocato, il 26 marzo scorso, la morte del giovane di Tecchiena.
Gli sviluppi
Ieri mattina il reparto operativo e il nucleo investigativo, guidati al colonnello Andrea Gavazzi e dal capitano Antonio Lombardi, in collaborazione con il personale delle compagnie di Frosinone, Alatri e Anagni, tutti coordinati dal colonnello Fabio Cagnazzo, hanno dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Frosinone Ida Logoluso, su richiesta del procuratore Giuseppe De Falco e dei sostituti Adolfo Coletta e Vittorio Misiti. Nei confronti di Franco Castagnacci sono emersi gravi indizi di colpevolezza nel coinvolgimento del violento delitto.
Secondo le accuse ha partecipato all'aggressione di Emanuele subito dopo che era stato portato fuori dal Miro Music Club. Lo ha inseguito fino alla parte alta della piazza, dove il ventenne aveva tentato di fuggire, braccandolo e continuando a colpirlo. Ha impedito a Gianmarco Ceccani, corso in aiuto dell'amico Emanuele, di aiutarlo. Lo ha trattenuto con forza. Nel frattempo Emanuele è riuscito a liberarsi dal cinquantenne ma è stato massacrato poco dopo da Mario, Paolo Palmisani e Michel Fortuna. Purtroppo per lui non c'è stato nulla da fare. È morto tra l'indifferenza delle tante persone presenti fuori dal locale, in una sera che voleva trascorrere in tranquillità e spensieratezza, come i giovani della sua età, con la sua ragazza Ketty e gli amici.
Il provvedimento cautelare si è reso necessario alla luce della condotta collaborativa tra l'arrestato e gli ulteriori tre indagati per l'intera fase dell'aggressione; per la rilevante pericolosità desumibile dal comportamento particolarmente crudele e dall'accanimento sulla giovane vittima, nonché per prevenire il concreto rischio di inquinamento di prove consistenti nel pericolo che il cinquantenne possa continuare a minacciare i testi, come emerso durante le indagini, per favorire la propria posizione e quella del figlio.
I precedenti
Franco Castagnacci il 1° giugno è finito agli arresti domiciliari, perché fermato con 15 grammi di cocaina. A quel punto il cinquantenne è stato portato prima in caserma, dove è rimasto per ulteriori verifiche e accertamenti, e poi condotto nel carcere di Frosinone. Successivamente per lui è stata disposta la misura dei domiciliari.
Ma l'attività investigativa è proseguita ritenendo quello un episodio non occasionale. I carabinieri, infatti, hanno continuato a indagare sulle varie piazze di spaccio e sui collegamenti tra Frosinone e Alatri. Il 27 luglio scorso Franco Castagnacci è finito di nuovo nei guai e da quel giorno si trova nella casa circondariale di Velletri. Stando alle accuse mosse dalla procura, Castagnacci padre avrebbe continuato a reggere le fila dell'attività, nonostante le restrizioni imposte dal regime dei domiciliari, avvalendosi dei suoi collaboratori, la sua consorte, sposata il 24 aprile, Florida Piku, 47, e Giorgio Boezi, 38, di Alatri. A loro avrebbe fornito istruzioni sulle modalità di approvvigionamento della droga, di cessione agli acquirenti e perfino di recupero crediti nei confronti di chi non aveva saldato il conto. Franco Castagnacci dai domiciliari è passato nella casa circondariale di Velletri, dove ieri mattina è stata data esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ritenuto responsabile di concorso in omicidio volontario.