Giuseppe "Pino" Venditti è un autore della fotografia cinematografica. Fa parte della giuria del Premio Internazionale della Fotografia Cinematografica "Gianni Di Venanzo". In carriera ha lavorato al fianco di grandi registi come Antonioni, Wenders, Risi, Losey, Cavani.

Lei è nato nella città di Amaseno. Qui il primo incontro con il cinema: Totò a colori

Sì, nel marzo del 1950. Per fortuna ad Amaseno c'è sempre stata una sala cinematografica e d'estate un'arena all'aperto. Mio padre all'età di sei anni mi portò per la prima volta al cinema e di questo gli sarò sempre grato e riconoscente, perché ha fatto nascere in me la passione per la settima arte. A me piaceva tanto Totò e mio padre così mi regalò la mia prima visione, il film "Totò a colori": ricordo, dopo aver superato la tenda rossa che divideva l'ingresso del cinema dalla sala, che rimasi letteralmente folgorato dalle immagini che scorrevano sul telo bianco e fui impressionato dal fascio di luce, amplificato ancora di più dal fumo delle sigarette degli spettatori, che il proiettore mandava sullo schermo: quella luce che mi rimarrà sempre in mente e nel cuore, fu determinante per la mia futura scelta professionale-tecnico-artistica. Sono rimasto ad Amaseno fino agli undici anni e durante tutto quel periodo della mia infanzia non mi sono perso praticamente neanche una proiezione avvenuta nel locale cinema.

Quindi il trasferimento a Roma, dove frequenta l'Istituto Roberto Rossellini

Trasferitomi a Roma, dove ho sempre vissuto nei pressi di Villa Fiorelli, continuai ad andare al cinema nella sala parrocchiale del quartiere dove sul palco del teatro mossero i primi passi Marcello Mastroianni e Silvana Mangano, dal momento che anche loro abitavano in quel quartiere, San Giovanni. Nel guardare i film mi appassionavo alle storie e ai personaggi, ma più di ogni cosa mi interessava il reparto "riprese", gli operatori e la macchine da presa, e così decisi che avrei intrapreso quel lavoro. Ma come fare? All'epoca quei tipi di mestiere si apprendevano con la gavetta, ma io non conoscevo nessuno che potesse aiutarmi, portandomi sul set ad imparare. L'occasione si presentò quando lessi su una rivista circa le nuove professioni del futuro, dell'industria cinematografica e della televisione: si trattava dell'Istituto Professionale di Stato per la cinematografia e la televisione, l' Istituto Roberto Rossellini appunto. Il mio sogno finalmente si sarebbe potuto avverare, e così una volta parlatone con mio padre, dopo le scuole medie, nel 1966 entrai al Roberto Rossellini: furono anni meravigliosi, tanto era il mio entusiasmo, conditi da ottimi voti e borse di studio. Nel 1970 quindi mi diplomai come operatore di ripresa cinematografica: subito ebbi la fortuna di entrare a lavorare presso il prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia, come assistente operatore ai ragazzi che si diplomavano. Dopo un mese circa, però, dovetti partire per il servizio militare: venni assegnato al reparto che si occupava delle riprese video per l'esercito: fu un'esperienza interessante, perché ebbi modo di fare molta pratica per tutto il periodo.

Può raccontarci il suo esordio al fianco di Pasqualino De Santis?

L'incontro e la conoscenza con il Maestro Pasqualino De Santis è tutto da raccontare. Nel trasferimento a Roma prendemmo in affitto la casa che era stata dei genitori di Iole ed Ernesto Novelli: durante i mesi di militare conobbi un compagno del reparto montaggio, con il quale saremmo diventati amici inseparabili, tale Claudio Orecchia, figlio di Iole e Mario e nipote di Ernesto Novelli. Questi signori lavoravano tutti alla Technicolor di Roma ed Ernesto era il datore di luce, oggi si direbbe colorist, più bravo in quel periodo sulla piazza e conosceva tutti i direttori della fotografia che sviluppano e stampavano i loro film alla Technicolor. Così , tramite Claudio, divenni una sorta di nipote acquisito della famiglia Novelli e quando terminai il servizio militare nell'agosto 1971, Ernesto parlò con Pasqualino De Santis, suggerendogli di prendermi nel suo gruppo di lavoro come aiuto operatore. La cosa si realizzò con il film di Joseph Losey intitolato "L'assassinio di Trotsky", con attori del calibro di Richard Burton, Alain Delon, Romy Schneider ,Valentina Cortese, Giorgio Albertazzi, Luigi Vannucchi e tanti altri. Così nel fatidico ottobre del 1971 ebbe inizio il mio cammino nel meraviglioso mondo del cinema: il mio sogno che prese luce per la prima volta nella sala cinematografica di Amaseno si era finalmente avverato. Ricordo che la notte prima di presentarmi sul set non ho quasi dormito, tanto erano la felicità e allo stesso tempo il timore e la responsabilità che avrei dovuto affrontare sul set,d'altronde il mio primo vero lavoro era al fianco di un grande come Pasqualino De Santis, il primo Premio Oscar italiano per la fotografia cinematografica per il film "Romeo e Giulietta", regia di Franco Zeffirelli. Non mi sembrava vero. Oltre a Pasqualino nel reparto c'erano due operatori alla macchina e due assistenti operatori, io entrai quindi come aiuto operatore: il mio compito consisteva nel preparare e tenere pulita la macchina da presa, compresi obiettivi e accessori, e quello più delicato di caricare la pellicola non impressionata negli appositi chassis o magazzini della cinepresa e quindi di scaricare la pellicola impressionata con le inquadrature girate stando molto attento a non far prendere la luce esterna, altrimenti si sarebbe velata e la scena si sarebbe dovuta girare nuovamente: pensate al danno artistico ed economico che ne sarebbe scaturito. Il girato alla fine della giornata veniva mandato al laboratorio di sviluppo e stampa e il giorno dopo si andava a controllarlo nella sala proiezione dello stesso. Al fianco di Pasqualino imparai a come stare sul set, e come pormi rispetto alla macchina da presa. Dopo Pasqualino lavorai con tanti altri direttori della fotografia come assistente e operatore alla macchina.

La collaborazione con Alfio Contini

L'altro incontro importante della mia carriera è stato con il maestro Alfio Contini, autore della fotografia che ha lavorato al fianco di grandi registi. Conobbi Alfio, persona squisita nella vita, che facevo già l'operatore alla macchina: sul set era molto esigente e professionale e con lui ho imparato tantissimo, e ho avuto la fortuna di lavorare così a molti film importanti con registi come Michelangelo Antonioni e Wim Wenders, Liliana Cavani o Lina Wertmuller. Con Alfio terminai la nostra proficua collaborazione quando decisi di passare finalmente alla direzione della fotografia.

Il passaggio alla direzione fotografica

Il mio passaggio alla direzione avvenne con la regista Rossella Izzo, con la quale ho avuto un lungo sodalizio in qualità di operatore alla macchina, quindi fu naturale che prima o poi mi avrebbe affidato la direzione di uno dei suoi film, dal momento che mi aveva apprezzato sul set per lungo tempo. L'occasione si presentò con il film-tv "L'inganno", il coronamento della mia professione: finalmente avevo la possibilità di mettere a frutto tutto quello che avevo imparato a Scuola prima e sui set successivamente, essere il responsabile della fotografia della storia che si stava raccontando e lo stretto collaboratore del regista, oltre che il capo reparto del mio gruppo di lavoro, una grande responsabilità, ma anche una grande soddisfazione.

Il film a cui è più legato?

Devo dire che tutti i film a cui ho collaborato sono stati importanti per me, alla fine sono come dei figli in fondo: potrei dire di essere molto legato al mio primo film come aiuto (che segnò, come accennato in precedenza, il mio ingresso nel cinema) "L'assassinio di Trotsky" di Losey, il primo come assistente operatore "Febbre da cavallo" di Steno, quindi il primo film da operatore "Professione vacanza" di Vittorio De Sisti, e poi "Al di là delle nuvole" indubbiamente, "La vita continua" e "Francesca Nunziata", l'ultimo come operatore "Il gioco di Ripley" e quindi il mio esordio nella direzione "L'inganno".