Un cadavere e mille interrogativi, all'interno di una trama tutta da decifrare. Ma, da ieri, c'è un punto fermo in più per gli investigatori, con l'iscrizione nel registro degli indagati di un cinquantenne per omicidio volontario.

Risalire la china della verità

La verità sulla morte di Emanuele Bove è un puzzle intricato. Pezzi sparsi su una scena che si compone di un corpo esanime, a 150 metri da una Peugeot, vicino a un cimitero e a una decina di metri da quel bar dove il quarantenne ha riso, scherzato e chiacchierato fino a poco tempo prima. Per terra un'esplosione di vetri: il lunotto posteriore della sua macchina è disintegrato, distrutto presumibilmente da più colpi. Sul parabrezza, invece, un solo colpo che lo ha sfondato. Uno, due, tre o dieci "accettate", brandite in aria o contro quella vettura servono a far capire che Emanuele non era solo e che qualcuno è andato lì, ad incontrarlo, e, magari, ad affrontarlo. Ma quanto tempo prima del decesso? Al momento serpeggia solo il motivo di quella visita, legata a un risentimento passionale, una pista che fa combaciare alcune testimonianze raccolte con uno spezzone di questo tragico film. Ma servono tutti gli altri elementi per comporre l'esatta dinamica che ha portato il "ragazzone" di Sant'Andrea a ritrovarsi, esanime, con la faccia a terra, tra il marciapiedi e l'asfalto.

La prova regina per il giallo

Innanzitutto l'autopsia. L'ha effettuata ieri pomeriggio (dalle 16 alle 19 passate) la dottoressa Daniela Lucidi, a cui era stato affidato l'incarico. A lei il compito di capire la tipologia delle ferite sul volto e verificare eventuali malori all'origine del decesso. Sul corpo dell'uomo, infatti, non ci sono tracce evidenti di traumi, di violenza fisica ma solo quelle "lesioni" sul naso riscontrate nell'imminenza dei fatti. Per gli investigatori è il tassello più importante per risolvere il giallo nell'ambito di un fascicolo, aperto dalla procura e affidato alla dottoressa D'Orefice, in cui si indaga per omicidio.

I testimoni

Tante le persone ascoltate nell'imminenza dei fatti. Mercoledì mattina si sono dovute recare in caserma a fornire la propria "versione": magari erano solo particolari legati agli ultimi istanti di vita del quarantenne, battute prima di uscire dal locale dove in tanti erano concentrati sul match di Camphions League, parole ascoltate a distanza maturate nell'ambito di un alterco in quella via, sagome viste lungo la carreggiata, auto accanto a quella di Emanuele. E, poi, tre persone che hanno varcato i cancelli di via Sferracavalli e sono rimaste a lungo all'interno. Sono stati particolarmente attenzionati, e uno di loro, un operaio di San Giorgio, avrebbe ammesso di aver sferrato quei colpi di ascia sull'auto di Emanuele e di essere andato via. Proprio lui, da ieri, è iscritto nel registro degli indagati con l'ipotesi di omicidio volontario.
Un «atto a garanzia», riferiscono gli inquirenti: anche per valutare la nomina di un proprio consulente per assistere all'autopsia.

Gli accertamenti

Ma gli accertamenti mercoledì non si sono fermati agli "interrogatori" a sommaria informazione. I carabinieri della compagnia di Cassino, che indagano a 360° insieme ai colleghi del reparto operativo del comando provinciale, hanno effettuato verifiche non solo sull'auto di Emanuele ma anche su quella dell'attuale indagato, come pure sull'ascia brandita quella maledetta notte alla ricerca di tracce biologiche. Sui risultati non trapela nulla né sulle risultanze relative alla perquisizione nell'abitazione dell'indagato. Le ipotesi sono tutte al vaglio, non è esclusa neppure la morte a seguito di altro reato. Ad esempio, un malore provocato dallo spavento. Ma il caso resta intricato, le piste aperte e i vari pezzi del puzzle da comporre. Quando le risultanze del medico legale finiranno sul tavolo degli investigatori si potrebbe aprire un nuovo capitolo. O chiuderlo.