Era il 13marzo2013, quando il primo pezzo di asfalto si staccò, dando il via a una frana di proporzioni gigantesche. Un boato che fece tremare la terra. Per motivi di sicurezza la zona interessata venne immediatamente transennata e fu interdetta la circolazione veicolare e pedonale sull'intero viadotto. I tecnici comunali, fin da subito, monitorarono la situazione. La notte successiva, dopo un altro smottamento della collina, quasi metà carreggiata del viadotto Biondi precipitò a valle. Quella ferita, ben visibile per chi passeggia in via Aldo Moro, o per quanti si affacciano da piazzale Vittorio Veneto, è ancora aperta.

La soluzione tampone

L'amministrazione Ottaviani, in attesa dell'intervento definitivo da parte della Regione Lazio, l'ente deputato alla tutela del dissesto idrogeologico, avvalendosi del professor Quintilio Napoleoni, per trovare soluzioni alternative che permettessero, almeno per il ripristino della viabilità urbana, tenuto conto dell'importanza strategica del collegamento tra il centro storico e la parte bassa del capoluogo, ha pensato a un ponte Bailey, realizzato da una società olandese, in grado di permettere la carrabilità anche ai veicoli e ai pedoni. Il costo ammonta a circa 700.000 euro.

L'inchiesta della procura

La polizia municipale e la protezione civile, all'epoca dei fatti, hanno affermato che, data la posizione e la conformazione della frana, si poteva presumere che il cedimento era stato causato dalle abbondanti piogge di quei giorni. Ora il clamoroso colpo di scena. Sul registro degli indagati è finito l'ex dirigente del Comune di Frosinone, l'architetto Francesco Acanfora. L'addebito mosso nei suoi confronti, tutto da provare, è che in qualità di responsabile del settore lavori pubblici "per colpa consistita in negligenza cagionava, o comunque non impediva, la frana a scorrimento che il 13 marzo 2013 interessò il versante della collina di viale Veneto, il cui confluvio – evidenzia il Pm - è attraversato dal viadotto Ernesto Biondi, con il conseguente crollo della carreggiata stradale posta a ridosso della spalla sud-owest dello stesso". Il professionista deve difendersi anche dall'accusa di compromissione delle caratteristiche di sicurezza dello stesso viadotto e "di aver messo in pericolo la vita e l'incolumità delle persone che transitavano su quel ponte dove si verificò la voragine".

Per gli inquirenti, in particolare, Acanfora, pur sapendo che "il viadotto, eretto in zona C, ovvero in un'area di ampliamento dei fenomeni franosi cartografati nel piano di assetto idrogeologico dell'autorità di bacino, e pur essendo stati evidenziati, a seguito dei sopralluoghi dai tecnici comunali il 3 novembre 2008, il 9 e il 17 marzo 2011,il degrado geomorfologico dell'area e la condizione di instabilità del pendio posta tra il viadotto Biondi e piazza San Tommaso d'Aquino, ometteva di adottare le misure di protezione e prevenzione atte ad evitare il crollo". Sempre secondo la procura "ometteva di disporre l'indagine sul versante (richiesta dai tecnici e finalizzata stima della pericolosità geologica del pendio) e di eseguire le opere di ingegneria naturalistica e civile di consolidamento e risanamento tra cui, in particolare, il muro di contenimento in cemento armato (attestato su fondazioni) alla base del rilevato stradale posto a sostegno del tratto di via Biondi interessato da crollo". L'inchiesta portata avanti dalla Procura ora è chiusa. Fissata anche la data dell'udienza preliminare: il 4 ottobre, davanti al gup Antonello Bracaglia Morante.