Avvelenamento delle acque o di sostanze alimentari e delitti colposi contro la salute pubblica. È quanto contesta la procura della Repubblica all'allora presidente della Saf Cesare Augusto Fardelli, al direttore tecnico della stessa società, l'ingegner Roberto Supressa, nonché ai dirigenti comunali all'epoca responsabili dei lavori pubblici del Comune di Frosinone, Francesco Acanfora, e del settore Ambiente, Elio Noce. I quattro dovranno comparire davanti ai giudici del tribunale. Il procuratore Giuseppe De Falco, dopo aver chiuso il fascicolo, ha disposto un decreto di citazione diretta a giudizio. Specificando inoltre che il reato è ancora in atto. Il processo è fissato per il 17 novembre.

A svolgere le indagini sono stati i carabinieri della polizia giudiziaria, coordinati proprio dal procuratore Giuseppe De Falco e dal sostituto Vittorio Misiti. L'inchiesta si è concentrata sulle misure di messa in sicurezza dell'area, in particolare sulla fuoriuscita di percolato che avrebbe finito per inquinare le falde acquifere. Agli indagati, difesi dagli avvocati Domenico Marzi, Calogero Nobile, Sandro Salera e Vittorio Perlini, viene contestato di "aver posto in essere insufficienti interventi di messa in sicurezza o interventi non collaudati". In più viene addebitato "l'aver omesso le indispensabili operazioni di bonifica, così determinando o comunque non impedendo che il percolato della discarica raggiungesse la falda acquifera sottostante". La stessa, infatti, sarebbe stata inquinata da metalli pesanti quali alluminio, ferro, manganese, bario, nichel e piombo in quantità notevolmente superiore ai valori delle concentrazioni soglia previsti per le acque sotterranee. Ciò avrebbe provocato - secondo l'ipotesi della procura - l'avvelenamento delle acque, potenzialmente destinabili, in via diretta o indiretta, attraverso le coltivazioni, al consumo umano.

La storia

La discarica di via Le Lame viene utilizzata sin dal 1956 e fino al 2002. È composta da tre bacini, il primo è del 1987 (anche se i conferimenti sono iniziati decenni prima), il secondo ha visto un impiego da marzo 1992 a giugno 1994, il terzo dal 1994 al 2002. Tra rifiuti e sovvalli si stima che il sito abbia ospitato 651.000 metri cubi in una superficie di quasi quattro ettari. E chi passa dalle parti dell'area industriale non può non notare la montagna di rifiuti. Questi, negli anni, avrebbero prodotto degli effetti devastanti. Anche in forza della consulenza richiesta dalla procura sarebbe emersa la contaminazione della falda acquifera con metalli pesanti.

La ricostruzione

In base a quanto ricostruito dalle indagini, nonostante i diversi interventi di bonifica per i quali sono stati spesi fondi pubblici, le misure adottate si sono rilevate inefficaci. Sulla base dei sopralluoghi effettuati, anche di recente, si è rilevato il mancato funzionamento delle pompe di aspirazione dell'acqua di falda dai pozzi e di quelle di aspirazione del percolato. Inoltre le impermeabilizzazioni presentano segnali di usura. Nel febbraio del 2005 per la realizzazione del solo diaframma plastico erano stati spesi 8,5 milioni di euro, mentre nel marzo del 2007 la Saf provvedeva a garantire il convogliamento del percolato separatamente dalle acque piovane. Tra l'altro la procura contesta che parte degli interventi previsti dalla legge per la bonifica non sono stati adottati (come il piano di caratterizzazione e l'analisi di rischio), mentre altri non risultano ancora collaudati, per cui non è stato possibile verificare se siano conformi alla progettazione. Peraltro anche dopo il sequestro del sito, erano emersi diversi problemi, come le condizioni della strada che non consentiva l'accesso ai mezzi di raccolta. Ora gli imputati, che respingono le accuse, dovranno fornire la propria versione dei fatti davanti ai giudici.