«Il Casermone era il luogo di convergenza degli acquirenti dell'intera provincia, da questi ultimi conosciuto con il nome di "finestrella", attiva ogni ora del giorno e della notte, per come rappresentato nei dialoghi intercettati». Un nuovo tassello sulle accuse per lo spaccio a Frosinone, che portò polizia e carabinieri a mettere a segno l'operazione Fireworks. A fine maggio la procura aveva notificato 53 avvisi di conclusione delle indagini preliminari, prologo alla richiesta di rinvio a giudizio. A delineare il quadro accusatorio, raccolto nel corso dei vari appostamenti, sequestri e intercettazioni da parte delle forze dell'ordine, è stata la Corte di Cassazione nel confermare il provvedimento del tribunale delle libertà che aveva mantenuto il provvedimento restrittivo a carico di uno degli indagati. Per il supremo organo giudiziario «sul piano della gravità indiziaria» è emersa la presenza di un'organizzazione criminale, facente capo a Gerardo Valenti, al figlio Mirko e a Gianpaolo Scuderi, considerate dall'accusa le figure di spicco, «dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti (di diversa tipologia) e al reimpiego dei relativi proventi illeciti», anche con il reinvestimento in attività economiche in Spagna.

In base a quanto riporta la sentenza della Cassazione, dalle indagini è emerso che «la gestione dell'illecito traffico era prerogativa  esclusiva del sodalizio, oggetto di indagine». E che il «sodalizio era predisposto ad assicurare, ai consociati e alle loro famiglie, un'assistenza economica attraverso la corresponsione di una remunerazione, in parte fissa e in parte variabile (quest'ultima chiamata "botta"), perché legata all'effettivo quantitativo di sostanza stupefacente ceduta e al relativo profitto conseguito».

Dall'attività di osservazione, condotta dalle forze dell'ordine, è emerso che «i numerosi acquirenti raggiungevano il punto di cessione accedendo agevolmente da un passaggio aperto che suddivide il caseggiato (cosiddetta spaccata) e che collega la parte anteriore dello stabile con quella posteriore». Evidenziato anche il fatto che «l'esito complessivo di 154 sequestri amministrativi di sostanza stupefacente aveva permesso di acquisire un solido dato indiziario, corroborato altresì dalle dichiarazioni rese dai medesimi acquirenti». La Cassazione ricorda anche i due differenti sistemi per intercettare lo stupefacente e dimostrare l'entità dell'attività «al fine di dimostrare l'operatività 24 ore su 24» con più interventi, il secondo attuato in tempi più brevi, fermando gli acquirenti, per dimostrare il volume degli affari. Uno dei passaggi della sentenza è dedicato alle multe nei confronti degli associati che non si erano comportati correttamente. Ma non solo. Secondo la Cassazione, gli indagati, pur essendo pienamente consapevoli di essere sotto indagine, non hanno ridimensionato la loro attività. Tanto che, in sede di perquisizioni, è stata rinvenuta la rendicontazione giornaliera delle cessioni, con guadagni fino a 40 mila euro.

E anzi, dal materiale sequestrato, «era stato possibile ricostruire il ruolo ricoperto da ciascun sodale all'interno dell'organizzazione». Nel respingere il ricorso avanzato da Gerardo Ruspantini, la Cassazione lo ritiene «gravemente indiziato di aver svolto il ruolo di addetto alla finestrella, ruolo che era caratterizzato dallo svolgimento di una turnazione». In base al contenuto di un'intercettazione telefonica «è stato ritenuto che il Ruspantini avesse accettato di partecipare a tale sistema di turnazione, così dimostrando di avere un ruolo stabile all'interno della struttura associativa». La Cassazione ha così confermato in toto la decisione del Riesame sull'adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ritenendo le motivazioni dell'ordinanza impugnata sprovviste di quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice, lamentata dalla difesa. «L'argomentata valutazione del tribunale del Riesame - per la Cassazione - si coniuga con l'articolata disamina indiziaria».