Montecassino bloccava la strada degli Alleati verso Roma. Già la linea Gustav aveva mostrato il suo volto "cruento" in quei mesi in cui, per superarla, si era sparso parecchio sangue. Ora c'era anche l'abbazia da espugnare per risalire la Nazione.

Il monte scelto da San Benedetto per edificare il monachesimo occidentale dominava e domina la valle. I tedeschi erano sopra e tutt'intorno; e sparavano a ogni movimento. Sparavano per non essere uccisi, senza distrazione. E chi tentava la risalita, andava quasi sicuramente incontro alla morte. Ci provarono inglesi, gurkha, neozelandesi ma fallirono. I polacchi non mollarono la presa.  Quattro tentativi fino alla "vittoria". All'alba del 18 maggio, dopo un attacco partito il giorno prima, gli uomini del  generale Wladyslaw Anders riuscirono a espugnare la sommità. Avevano il fuoco negli occhi e la fede nel cuore, e lo fecero per quei loro fratelli caduti senza pietà, fino a pochi istanti prima, sotto i colpi dei cecchini tedeschi. I cadaveri costellavano il campo, tra i papaveri rossi, immagine simbolo di quel sacrificio reso all'Italia e al mondo. 
Stamattina, in centinaia si sono riuniti per ricordare il 73esimo anniversario della liberazione di Montecassino.
Erano presenti l'Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia, Tomasz Orłowski, il Ministro Jan Józef Kasprzyk, Capo dell`Ufficio per i Reduci di Guerra e Vittime di Persecuzioni e Anna Maria Anders, figlia del generale Wladyslaw Anders. C'era il sindaco di Cassino D'Alessandro e il prefetto di Frosinone, Emilia Zarrilli, insieme a tante altre autorità civili e militari. E c'era quella memoria imperitura che continua a dominare i cuori e quei luoghi. 

FOTO ALBERTO CECCON