Quarantotto ore per la verità. Per sapere se dom Vittorelli, ex abate di Montecassino, dovrà affrontare un processo per appropriazione indebita. Per quegli oltre 500.000 euro che l'alto prelato - secondo la procura di Roma - avrebbe sottratto per viaggi, soggiorni extra lusso e una vita da nababbo: per quelle "spese pazze" finite sotto l'occhio attento della magistratura, che hanno creato un vero e proprio terremoto fuori e dentro l'abbazia benedettina più conosciuta al mondo per la sua bellezza e la sua cultura. Giovedì 18 maggio, dunque, Pietro Vittorelli affronterà il responso insindacabile dei giudici capitolini che stabiliranno se gli elementi nelle loro mani siano tanto forti da consentire loro di andare avanti e procedere con il rinvio a giudizio dell'alto prelato. Oppure se proseguire nel proscioglimento del dom. Quarantotto ore, dunque, per conoscere la verità.

L'integrazione d'indagine

La richiesta di rinvio a giudizio per l'ex abate Vittorelli era arrivata già da qualche tempo, ma i giudici non erano forse del tutto convinti del quadro finito nelle loro mani. E avevano chiesto, all'inizio di maggio, un'integrazione di indagine. L'udienza in cui verrà discusso il rinvio a giudizio di Pietro Vittorelli, cioè quella in cui si stabilirà l'apertura del processo a suo carico oppure il suo proscioglimento, è fissata. Pesanti le contestazioni mosse all'alto prelato finito nell'inchiesta aperta per un'ipotesi di appropriazione indebita: dom Vittorelli, nel periodo in cui è stato abate e immediatamente dopo le dimissioni, avrebbe sottratto dai conti dell'Abbazia i soldi dell'8 per mille destinati a esigenze di culto e pastorali. Accuse infondate, per il suo avvocato Mattia La Marra, pronto alla discussione.

L'inchiesta

Lo scandalo che ha investito Montecassino è scoppiato a novembre del 2015. La Guardia di Finanza di Roma aveva disposto il sequestro di 4 conti bancari e di 2 case, iscrivendo nel registro degli indagati Pietro Vittorelli e suo fratello Massimo. Il campanello d'allarme che fece accendere i motori delle Fiamme gialle fu un'operazione sospetta: nessuna "gola profonda", come dissero gli inquirenti, ma movimentazioni di denaro che fecero salire il livello d'allerta. «Opere caritatevoli che non facevano tornare i conti» come disse il gip Passamonti, attraverso cui l'ex abate «avrebbe distratto i fondi sia della diocesi che dell'abbazia fatti transitare su conti sospetti».