Il cadavere di Emanuele inizia a parlare. Al momento è l'unico a dire la verità. A dargli voce è un medico legale, il professor Potenza, che qualcosa ha già fatto trapelare. Ma tra poco meno di sessanta giorni farà la parte del "medium" e dirà con che cosa è stato trucidato quel ragazzo. Qual è l'arma del delitto. C'è chi spera che racconti, con certezza, se quelle ferite siano state inferte con un manganello estensibile o con una chiave a L per svitare i bulloni delle automobili. Oppure dal modo violento con il quale qualcuno avrebbe spinto il ventenne contro la Skoda in sosta in piazza Regina Margherita. Al momento la tesi più attendibile è il colpo secco. Ma la certezza non c'è. Per molti la consulenza medica suonerà come una sorta di verdetto di condanna. Altri, invece, potranno tirare un sospiro di sollievo. Magari subiranno pure un processo. Ma da comprimari. La parte principale, da quel momento in poi, sarà tutta riservata all'assassino. Così si spera. Perché, a prescindere dal mistero che avvolge questa torbida vicenda, il nome del killer non è ancora certo. Altrimenti il caso sarebbe chiuso.

L'indagine e gli interrogatori

Gli inquirenti, invece, attraverso la lettura delle centinaia di dichiarazioni rilasciate, continuano a scavare. A leggere e interrogare. Lo fanno per ricostruire causa ed effetto di un assurdo delitto. Perché al centro di questa storia, come in certi casi di scuola, c'è un testimone perfetto. Che fa finta di non aver visto nulla. Che non ha il coraggio, come sostiene uno dello staff del Miro, di essere un uomo. I carabinieri lo cercano. Impossibile, infatti, credere che quelle centinaia di occhi presenti quella sera non abbiano visto la mano assassina. La magistratura ci prova a far chiarezza. E per farlo scrive l'ottavo nome sul registro degli indagati: si tratta di una persona che era presente al momento dell'aggressione. La sua identificazione è avvenuta nelle ultime ore nel quadro degli accertamenti disposti dal procuratore Giuseppe De Falco. Sotto torchio, giovedì sera, dalla 19 alle 24, è invece finito un altro uomo di Alatri. È stato interrogato come persona informata sui fatti, per capire se fosse presente alla rissa e che cosa ricordava.Top secret le sue dichiarazioni. Così come quelle di Mario Castagnacci, che in cinque ore di interrogatorio, non quello di convalida del fermo, ma il giorno precedente, al pm avrebbe detto solamente: «Io non c'entro». Forse mezza parola in più l'avrà pure aggiunta. Quale?

Gli insulti su Facebook

Chiarezza va fatta pure, proprio per sgomberare il caso da equivoci, non solo su chi ha ammazzato Morganti, ma su che cosa nasconde una storia di ragazzi di periferia, intrisa di alcol, droga e sangue. È nel passato che bisogna scavare. C'è pure chi sostiene, attraverso una pagina fake su Facebook, inserita nella categoria animali e che infanga pesantemente la memoria di Emanuele, che lo stesso riforniva di droga i minorenni. «Non era una bella persona - scrive - e probabilmente la sua fine è legata a qualche faccenda di droga». Quel profilo, chiuso e riaperto più volte, va attenzionato. Per capire chi è l'autore.E, soprattutto, perché lo fa. È forse un modo come un altro per depistare le indagini? Tra i commenti postati c'è chi insulta e chi no. A giudicare sarà l'autorità giudiziaria.

Una strana lettera

Così come occorre risalire a chi ha affisso un nuovo biglietto sulla porta del Miro. Scritto a penna. Non al computer come i precedenti. Con una grafia chiara. Dice: «Chi lo ha ferito non lo deve dire lui a noi. Siamo noi che dobbiamo dire alla magistratura chi ha ammazzato quel ragazzo. E perché». La firma non c'è. Ma il messaggio è chiaro