Mentre ieri, dinanzi ad una folla enorme, a Tecchiena Castello, ad Alatri, si sono svolti i funerali di Emanuele Morganti, il giovane morto per le botte ricevute nella maledetta notte tra venerdì 24 e sabato 25 marzo, proseguono incessanti le indagini volte a definire ancora meglio il quadro dell'accaduto ed eventuali responsabilità dirette nell'omicidio da parte di altre persone, già indagate o non ancora coinvolte direttamente nell'inchiesta. 

I Ris sulla scena del crimine. Esattamente una settimana dopo il brutale assassinio del 20enne alatrense Emanuele Morganti i carabinieri sono tornati a ispezionare il locale da dove si è originato il litigio che ha dato il via al pestaggio mortale. I carabinieri del reparto investigazioni scientifiche hanno ispezionato in lungo e in largo piazza Regina Margherita, dove Emanuele è stato massacrato di botte e anche l'interno dell'esercizio. Ore e ore al Miro con il luminol in mano per trovare anche ogni minima traccia di sangue che permetta di ricostruire la dinamica del pestaggio. L'aggressione, infatti, secondo alcune testimonianze sarebbe cominciata già all'interno del circolo. Gli investigatori hanno provato così a collocare i tasselli mancanti del puzzle che, dopo l'arresto di Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, e l'autopsia, sta prendendo forma.

Secondo i primi risultati emersi dall'esame autoptico, Emanuele è stato ucciso da un colpo o forse due sulla testa. Gli stessi sono stati inferti con un mezzo non naturale, ovvero uno strumento atto ad offendere. Forse proprio quello sfollagente telescopico, non ancora ritrovato dalle forze dell'ordine, e ora attivamente ricercato in questa fase delle indagini. Il colpo o i colpi sferrati, probabilmente lateralmente, risultano dunque compatibili con la ferita riportata da Emanuele, ma soprattutto risultano aver provocato quella gravissima emorragia cerebrale che i medici non sono riusciti ad arginare, nonostante un doppio intervento neurochirurgico. La ferita che, invece, il ragazzo si è procurato cadendo e sbattendo contro il montante dell'auto non avrebbe avuto un peso determinante nell'aggravamento delle condizioni di Emanuele, poi da Alatri trasferito a Roma nel disperato tentativo di strapparlo alla morte. Se gli investigatori si aspettavano qualche elemento utile durante l'interrogatorio dei due fermati, con l'accusa di omicidio volontario e rissa, non potranno, invece, far affidamento su nessuna dichiarazione dato che Castagnacci e Palmisani si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Solo Mario, il giorno precedente, di fronte al procuratore Giuseppe De Falco ha raccontato la sua versione, respingendo le accuse. In pratica, avrebbe ammesso la sua presenza in piazza, ma non la sua partecipazione al massacro, i cui motivi risultano tuttora oscuri.

Nelle ultime ore ha preso corpo un precedente nel quale Emanuele sarebbe intervenuto in difesadi una ragazza, inimicandosi così il gruppo che poi lo ha aggredito e ucciso. Una sorta di vendetta, quindi. E anche su ciò andrà fatta luce.