Spaccio al Casermone, impugnati in Cassazione i divieti di dimora disposti dal tribunale del Riesame che di fatto "espelle" da Frosinone le vedette. Le difese promettono battaglia dopo il parziale accoglimento del ricorso dei pm Adolfo Coletta e Giuseppe Cascini della Dda che volevano il ripristino degli arresti domiciliari per quanti non era stata riconfermata la misura nel passaggio di competenza tra il gip di Frosinone e quello di Roma.
L'appello
Il tribunale ha richiamato l'appello dei pubblici ministeri nel quale si considera come l'obbligo di firma sia misura «inidonea ed inadeguata ad impedire» agli indagati «la reiterazione di reati della stessa specie; ed infatti, l'articolato quadro indiziario ha evidenziato come l'attività, svolta in forma associativa, di costante cessione di differenti sostanze stupefacenti presso il cosiddetto casermone sia risultata grave perché consolidata, ed altresì rafforzata dalla costante forma di rifornimento (di cocaina) proveniente da soggetti esterni all'associazione». Stando così le cose per la procura la misura impugnata non è in grado di «attuare una forma di solido argine nei confronti dell'operato dei soggetti preposti ad un ruolo (quello di "vedetta") funzionale all'esecuzione sia dei reati fine, sua del reato associativo».
Spessore minore
Dopo aver ripercorso le richieste dell'accusa e le deduzioni delle difese, il tribunale ha ritenuto che «la scelta di adottare la misura cautelare detentiva proposta dal pm non sia proporzionata al ruolo svolto dagli odierni indagati in quanto (ruolo) delimitato all'esecuzione del compito di "vedetta", e come tale di spessore criminale meno allarmante (valutazione rafforzata dall'assenza di precedenti penali). Tuttavia, per il collegio «l'esecuzione dell'attuale misura cautelare (obbligo di firma, ndr) non sia in grado di garantire un'effettiva attività di controllo nei confronti delle condotte degli indagati, atteso che la ricostruzione complessiva della vicenda ha evidenziato come l'associazione criminale si sia avvalsa di una organizzazione estremamente sofisticata, caratterizzata dalla suddivisione di compiti tra i sodali, e dal rispetto di un sistema di turnazione tra i singoli associati, ciascuno preposto ad intervenire entro un ambito orario predefinito; da ciò, deve desumersi come il rispetto dell'orario di presentazione presso gli uffici della pg sia facilmente "aggirabile", anche in ragione della decisione del giudice procedente di indicare un orario flessibile (tra le ore 18 e le ore 20), e come gli indagati sia non stati posti nelle condizioni di rispettare l'obbligo di continuare l'attività criminale (accertata – si ribadisce – in forma associativa) organizzando in modo flessibile il sistema di turnazione».
La misura più giusta
Per il Riesame allora la misura più corretta a tutelare le esigenze cautelari è quella del divieto di dimora nel territorio della provincia di Frosinone, «strumento cautelare (non detentivo) che garantisce il necessario distacco dei sodali rispetto al contesto territoriale nel quale si è sviluppato il fenomeno delinquenziale ricostruito, al punto di impedire loro di accedere al luogo di riferimento, ormai conosciuto e collaudato, aggirando le prescrizioni della misura adottata dal giudice procedente». Con riferimento alle argomentazioni sollevate dalla difesa, il Riesame ha chiarito che non è questa la sede per valutare la sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza. «Il tema prospettato dal pm riguarda unicamente la valutazione relativa alle esigenze cautelari; per qualsiasi questione relativa al tema dei gravi indizi di colpevolezza, le difese sono state poste nelle condizioni di avanzare riesame ed hanno liberamente scelto di non presentarla». Da qui la conclusione, posto che per Luigi Fortuna, sottoposto a un programma di recupero non esistono esigenze cautelari (tanto che l'obbligo di firma gli è stato revocato), per gli altri indagati è stata disposta la sostituzione del- l'obbligo di firma con il divieto di dimora, misura estendibile anche ai sei indagati cui non è con- testato il reato associativo, essendo accusati solo di essere dei fornitori del gruppo. Il divieto di dimora riguarda gli indagati Giovanni Cortina, Yuri Crecco, Stefano Di Gennaro, Victor Manuele Ferreira Trigo, Simona Fiacchi, Bruno e Saverio Grandi, Fabio, Massimiliano e Stefano Grossi, Christian Iaboni, Serafino Lombardi, Stefano Mizzoni, Diego Quattrociocchi, Christian e Massimo Reffe, Roberto Roseppi, Shefit Rrapi, Mario Sarnino, Polidor Selimaj, Gianmarco Stellati, Sandro Terragitti, Emanuele Troiani e Matteo Verdicchio.
Il nuovo ricorso
La misura peraltro non è immediatamente esecutiva. Stante il ricorso in Cassazione proposto dagli avvocati Raffaele e Marco Maietta, Antonino e Calogero Nobile, Giampiero Vellucci, Riccardo Masecchia, Tony Ceccarelli, Carlo Mariniello, Rosario Grieco e Maria Luisa Ambroselli, bisognerà attendere la pronuncia definitiva.