Dopo l'evasione, l'inchiesta per omicidio un altro terremoto scuote il carcere di Frosinone. Ieri, i carabinieri del Reparto operativo Nucleo investigativo hanno dato esecuzione a delle ordinanze di custodia cautelare, di cui quattro in carcere, una agli arresti domiciliari e sei obblighi di dimora. L'accusa, che coinvolge anche un appartenente alla polizia penitenziaria, è di corruzione per aver favorito l'introduzione nella casa circondariale di Frosinone di tre telefoni cellulari di ultima generazione, comprensivi di sim e caricabatterie, cinquanta grammi di hashish e altro materiale allo stato non ancora identificato.

Il prologo

L'inchiesta "Cash and carry" nasce dall'intercettazione di un colloquio di un detenuto con la madre. Questi rivela la possibilità di poter introdurre sottobanco qual- cosa. Èlo spunto che permette alla polizia penitenziaria, dopo una perquisizione, di trovare dei telefonini. A quel punto l'autorità giudiziaria - è il luglio del 2016 - delega i carabinieri a indagare. E così gli uomini del tenente colonnello Andrea Gavazzi e del capitano Antonio Lombardi si mettono sulle tracce di chi gestisce l'illecito commercio all'interno del carcere. Partono intercettazioni e pedinamenti. I militari del Nucleo investigativo cominciano a sospettare di un assistente capo della polizia penitenziaria. E, in un paio di mesi, si chiude il cerchio.

I detenuti destinatari di cellulari e droga nel frattempo vengono trasferiti. Il sostituto procuratore Rita Caracuzzo, che coordina le indagini, invia una richiesta di misure cautelari al gip del tribunale di Frosinone Francesco Mancini. Ieri, pertanto, i carabinieri hanno applicato le misure nei confronti dell'assistente capo della polizia penitenziaria Rinaldo Neccia, 47 anni, di Piglio, finito agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, mentre sono state eseguite le ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti dei detenuti all'epoca ospitati in via Cerreto.

Si tratta di Goyart Leba, albanese,35 anni,attualmente ospite della casa circondariale di Spoleto per droga, rapina e sfruttamento della prostituzione, Marian David Surdu, 26, romeno, che era ai domiciliari nella sua abitazione di Alatri per droga, Domenico Coppola, 26, attualmente detenuto ad Ariano Irpino per droga e rapina e Andi Agalliu, 37, albanese, detenuto a Isernia per droga. Sono difesi da- gli avvocati Angelo Pica, Giampiero Vellucci, Riccardo Masecchia, Eliana Scognamiglio,Roberto Delogu e Claudio Castaldo. A familiari e compagne dei detenuti è stato imposto l'obbligo di dimora nelle rispettive residenze che riguarda C.M., cagliaritana, 41, C.E. di Cardito (Na), 45, M.E., di Cardito, 40, A.P., di Sabaudia, 38, e R.P. di Sabaudia, 45.

Le indagini

I carabinieri, indagando sui telefonini, scoprono cose interessanti. I cellulari sono usati anche da altri detenuti che se li passavano tra di loro. La voce all'interno del penitenziario è corsa e così, grazie al passaparola, altri detenuti sono venuti a conoscenza delle "modalità" con le quali ricevere un cellulare, ma anche droga. Stando alla prospettazione accusatoria, la guardia carceraria per far passare gli ordini chiedeva somme che variavano dai 150 ai 500 euro.

Decisiva è la mediazione di congiunti, mogli e compagne dei reclusi. Istruiti in tal senso, al telefono o durante i colloqui, i familiari venivano in contatto con l'assistente capo. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, gli incontri avvenivano in bar o in parcheggi di Frosinone. Lì - in base all'accusa - avvenivano gli scambi. I carabinieri sono riusciti a filmare alcuni di questi incontri. Stando a quanto ricostruito dai militari del Nucleo investigativo nei bar e nei parcheggi l'assistente capo si sarebbe fatto consegnare i telefonini o la sostanza stupefacente, poi introdotti nel carcere. In base alle accuse, l'agente avrebbe ottenuto con questo sistema 2.000 euro attraverso dazioni dirette di denaro e ricariche di una postepay. Ricariche avvenute attraverso triangolazioni con persone non collegate ai detenuti per non destare sospetti in caso di controlli.

Le chiamate

Le telefonate servivano ai bisogni più disparati. Un modo per man- tenere assidui contatti con l'esterno con familiari, mogli, fidanzate e quanti altri. Ma anche un modo per non perdere l'abitudine. Alcuni dei detenuti hanno continuato a presiedere alla commissione di altri reati. Ed è questo quanto il gip Mancini ha evidenziato nell'ordinanza, ponendo l'accento sul fatto che, nonostante la sottoposizione al regime carcerario, i detenuti hanno dimostrato uno spiccato spessore criminale.

I precedenti

Si chiamava Albatraz. Era il nome dato all'operazione che, nel gennaio del 2010, portò all'arresto di tre ispettori della polizia penitenziaria in servizio a Frosinone. Stando alle accuse dell'epoca sarebbero stati corrotti per favorire l'ingresso all'interno della casa circondariale di cocaina ed hashish. Anche in quell'occasione, l'indagine prese le mosse dal ritrovamento, nel luglio del 2007, di un cellulare in carcere.