Ci mancava solo il regista a riprendere l'evasione da film avvenuta nel carcere di alta sicurezza di Frosinone. Il ciak si... fugge è scattato poco dopo le due e quaranta della notte tra venerdì e sabato. Protagonisti, alla maniera cinematografica hollywoodiana, un camorrista e un trafficante di droga.
Pazzesco pensare che i due siano stati in grado di tagliare le sbarre e prati- care un buco nel muro dietro un televisore, senza che nessuno se ne accorgesse. Per poi infilarsi come due topi nel tetto e calarsi nel cortile. Assurdo pure che tutto sia avvenuto, un po' come nei fumetti, annodando le lenzuola a mo' di corda per superare il muro di cinta del penitenziario. Grazie anche ad una sorta di arpione. Senza tralasciare il fatto che con loro avevano persino due telefonini. Ipotizzare, quindi, che qualcuno li abbia aiutati a mettere in piedi il piano, studiato alla perfezione e nei minimi particolari, è lecito. Ma come tutto ciò sia potuto accadere all'interno di una prigione, e non di una casa famiglia, lo dovrà chiarire la magistratura.
Qualcosa, però, come tante pellicole hanno mostrato nel corso del tempo, anche in questa storia non è andato per il verso giusto. Il salto per la libertà è, infatti, costato caro ad uno dei fuggitivi, un albanese che, nel cadere, è rimasto immobile a terra: diverse le fratture riportate. Dalle prime indiscrezioni raccolte, sembra che a organizzare l'evasione sia stato proprio un gruppo legato a Ilirjan Boce, 44 anni, detenuto per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga, che sarebbe uscito nel 2026.
Lo straniero è rimasto ferito ai piedi della cintura muraria: proprio addosso all'uomo, ricoverato in gravi condizioni all'Umberto I di Roma, sono stati trovati i due cellulari, impiegati probabilmente per accordarsi con i complici prima dell'evasione. Persone che, a quanto pare, nei giorni scorsi avevano provveduto a tagliare la rete della recinzione esterna del penitenziario. Anche su di loro ora si concentra l'attenzione degli inquirenti. Una volta scattato l'allarme sul posto si sono portate decine di pattuglie dei carabinieri e della polizia.
Appena è stato possibile, quando ancora albeggiava, si è alzato in volo un elicottero dei carabinieri da Pratica di Mare e centinaia di uomini si sono messi alla ricerca di Alessandro Menditti, 43 anni, originario di Recale, in provincia di Caserta. L'uomo, che deve scontare una condanna per associazione mafiosa, sarebbe dovuto restare dietro le sbarre per altri tre anni. A fargli scattare le manette ai polsi era stata la squadra mobile di Caserta. Ed è proprio nella provincia campana che si con- centrano maggiormente le ricerche di polizia, carabinieri e guardia di finanza. La sua foto è stata diffusa anche nel resto di Italia, così come la segnala- zione relativa al fatto che potrebbe essere rimasto ferito e quindi claudicante. Ed ora è una corsa contro il tempo, quella che gli investigatori stanno conducendo per catturare l'esponente del clan dei "Macellai", contiguo alla cosca dei Belforte, meglio noti come i "Mazzacane".
Si spera di assicurarlo alla giustizia prima che riesca a trovare un nascondiglio sicuro. In parallelo alle ricerche del fuggiasco, la polizia penitenziaria, coordinata dalla procura della Repubblica di Frosinone, dovrà cercare di chiarire la dinamica della rocambolesca evasione. Tutto, comunque, è stato reso più facile per via del fatto che la vigilanza armata all'interno delle garitte è previ- sta solamente di giorno.
Era in carcere per estorsione sui cantieri
Centinaia di uomini lo cercano da Frosinone al Casertano. Alessandro Menditti, 43 anni, di Recale era stato condannato a sette anni e mezzo per associazione di stampo mafioso e di estorsione. Ne ha scontati cinque. Doveva uscire dal carcere nel 2020. Doveva. Perché dalle 2.40 dell'altra notte Menditti è un evaso, cui stanno dando la caccia tutti.
Le operazioni sono coordinate dalla polizia penitenziaria e vedono l'impiego di tutte le forze dell'ordine. Le ricerche, all'inizio, si sono concentrate nel Frusinate con una serie di posti di blocco, e un elicottero dei carabinieri, man mano che passavano le ore il raggio si è ampliato fino a comprendere la provincia di Caserta, di dove l'uomo è originario e dove potrebbe avere delle coperture. A giugno 2015 la Corte d'appello di Napoli aveva emesso quattordici condanne contro il clan Belforte e tra questi c'è anche il gruppo dei Menditti.
Ad Alessandro la corte aveva inflitto sette anni e mezzo. Condanna confermata, lo scorso giugno, dalla Corte di Cassazione. Il suo difensore aveva eccepito la mancata applicazione della continuazione dei reati. Sostenendo che «i reati di estorsione - si legge nelle motivazioni della sentenza – e quello di partecipazione ad associazione mafiosa rientravano in un unico disegno criminoso, poiché agli imputati venne assegnato, fin dal momento del loro ingresso nel clan Belforte, un ruolo ben preciso, finalizzato alla perpetrazione dell'attività estorsiva, in particolare mediante il "blocco" dei cantieri edili, come risulta dalle dichiarazioni rese dai collaboranti».
La Cassazione ha però dichiarato il ricorso inammissibile. Alessandro Menditti era stato arrestato nel dicembre del 2011, insieme al fratello Fabrizio, condannato anch'egli a sette anni e mezzo, nell'ambito dell'operazione anticamorra Mangusta condotta dalla squadra mobile di Caserta, all'epoca guida dal vice questore Alessandro Tocco, ora a Cassino. In manette erano finiti i vertici del gruppo Menditti, ritenuto dagli investigatori attivo nel comprensorio di Caserta, alleato dei Belforte di Marcianise. Stando alle risultanze investigative si era registrata l'ascesa del gruppo contemporaneamente all'indebolimento dei Belforte dovuto ad arresti e ai collaboratori di giustizia. In precedenza, prima di passare con i Belforte, i Menditti erano stati alleati dei Piccolo, passando con i Belforte quando la faida di fine anni Novanta volse a favore di questi ultimi. Anche la moglie di Menditti è detenuta, essendo coinvolta nella stessa operazione.