Droga al Casermone, accolto in parte il ricorso dei pubblici ministeri contro le scarcerazioni. Con i vertici dell'organizzazione in carcere la procura temeva che il gruppo potesse mettersi in proprio. Così i pm Adolfo Coletta e Giuseppe Cascini della Dda avevano impugnato la scelta del gip di Roma di non confermare gli arresti domiciliari, inizialmente decisi dal gip di Frosinone.

La procura chiedeva il ripristino dei domiciliari, le difese la conferma della liberazione, alla fine il tribunale del Riesame ha stabilito un più salomonico divieto di dimora. Un provvedimento finalizzato a tenere lontani, non solo dal Casermone, ma anche da Frosinone, a questo punto, quelle figure minori, per lo più vedette o addetti allo spaccio al minuto, secondo la prospettazione accusatoria che si basa sulle indagini condotte da carabinieri e polizia.

Il provvedimento tuttavia non è esecutivo. Lo sarà solo quando diverrà definitivo. A questo punto, infatti, è scontato il ricorso, da parte delle difese, in Cassazione. E solo quando anche questa si sarà pronunciata il provvedimento potrà essere eseguito. Il gip romano Luigi Balestrieri aveva ritenuto integralmente condivisa la prima ordinanza, emessa a Frosinone, con alcuni distinguo. Aveva suddiviso le responsabilità, contestando lo spaccio di grave entità ai promotori dell'organizzazione e quello lieve alle vedette e agli addetti allo spaccio al minuto alla "finestrella". Nel ricorso la Dda evidenziava che in occasione del blitz del 7 dicembre, la "finestrella" era in piena attività. E che «l'organizzazione di spaccio si identifica più con il luogo deputato come base della stessa piuttosto che nei capi, promotori e organizzatori, ad oggi ristretti presso il carcere di Frosinone». Pertanto il Casermone «rappresenta ancora ad oggi il punto di riferimento delle migliaia di assuntori che, nella loro "fresca" memoria,lo individuano ancora come quel supermarket della droga che è stato per lungo tempo».

Per l'accusa, la prospettiva di lauti guadagni (per migliaia di euro al giorno), è «il movente principe della caparbietà degli associati di proseguire imperterriti» e potrebbe indurre le persone tornate in libertà a mettersi in proprio, fare il salto di qualità e salire di grado in quanto sanno come il sistema funziona e hanno contatti con acquirenti e fornitori. Vedette e fornitori potrebbero dar vita a «una nuova saldatura organizzativa».

Su decisione del gip di Roma avevano lasciato i domiciliari Yuri Crecco, 36 anni; Giovanni Cortina, 38 anni; Stefano Di Gennaro, 22; Victor Manuel Ferreira Trigo, 58, venezuelano, di Guidonia; Simona Fiacchi, 46, di Valmontone; Luigi Fortuna, 43; Bruno Grandi, 43; Saverio Grandi, 41; Fabio Grossi, 35; Massimiliano Grossi, 46; Stefano Grossi, 43; Christian Iaboni, 26; Serafino Lombardi, 50; Stefano Mizzoni, 34; Diego Quattrociocchi, 37; Shefit Rrapi, 46, albanese; Christian Reffe, 23; Massimo Reffe, 32; Roberto Roseppi, 38; Mario Sarnino, 60, di Valmontone; Polidor Selimay, 33, albanese; Gianmarco Stellati, 22; Sandro Terragitti, 56; Emanuele Troiani, 37; Matteo Verdicchio, 21.

Tutti, tranne Fortuna, che si trova in comunità, ora rischiano di doversi trasferire lontano da Frosinone. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Christian Alviani, Tony Ceccarelli, Rosario Grieco, Raffaele e Marco Maietta, Riccardo Masecchia, Nicola Ottaviani e Giampiero Vellucci. Intanto, nonostante il parere contrario del pm, l'avvocato Ceccarelli ha ottenuto per Gerardo Ruspantini, 44, di Frosinone, la possibilità di lasciare il carcere per i domiciliari