Un'ora di attesa. Se li sono sentiti proprio tutti sulla pelle quei 3600 secondi che hanno separato i famigliari di Gilberta dalla nuova verità processuale arrivata intorno alle 13.30: venti anni di reclusione per Antonio Palleschi. «Neppure trenta!» ha commentato dopo un applauso amaro la famiglia della professoressa di Sora uccisa dal muratore che in primo grado era stato condannato all'ergastolo. Antonio Palleschi, che con la vittima condivideva per una strana coincidenza il cognome, aveva poi denunciato il delitto.

Gilberta, scomparsa il 1 novembre del 2014 in località San Martino, a Broccostella, era stata ritrovata 40 giorni dopo in una cava dismessa a Campoli Appennino, a pochi chilometri dal luogo della scomparsa. Poi la confessione del Palleschi che condusse personalmente le forze dell'ordine sul luogo del delitto, l'arresto e la condanna in primo grado al carcere a vita. Quindi l'appello, nell'ottobre del 2016, e l'inizio di una guerra di perizie. Fino a ieri, giorno in cui la sentenza di secondo grado ha spiazzato sia la famiglia di Gilberta che il loro legale, l'avvocato Massimiliano Contucci.

La sentenza

Vent'anni di reclusione, di cui tre da trascorrere in una Rems. I giudici della Corte d'Assise d'Appello, dopo un'ora di Camera di Consiglio, hanno ritenuto le attenuanti equivalenti a tutte le aggravanti; hanno valutato anche la scelta del rito (un abbreviato) che in primo grado aveva comunque portato i giudici a pronunciarsi per l'ergastolo. Quando i giudici della Corte capitolina hanno dato lettura del dispositivo il silenzio surreale e sfiancante è stato rotto solo da un applauso di contestazione, pieno d'amarezza e di rassegnazione per quella scelta davvero inaspettata: «È la prima volta che in 20 anni di professione esco da un'aula deluso, amareggiato e senza parole.

La sentenza della Corte di Assise di Appello è indegna di un Paese civile» ha commentato a bruciapelo l'avvocato Contucci, accanto alla famiglia in questo doloroso percorso sin dall'inizio. «Ci aspettavamo, nella peggiore delle ipotesi, trent'anni. Hanno ritenuto le aggravanti equivalenti alle attenuanti e quindi la pena è stata rideterminata. Dodici anni a Corona per le foto, solo otto in più per un reato tanto grave?». Poi ho aggiunto: «È inaudito. Non esiste il senso di giustizia, non esiste più niente. Tra le possibilità prese in considerazione avevamo contemplato persino quella della riduzione della pena. Ma non in questi termini». Ora, anche nell'ottica di proporre un ricorso in Cassazione, occorrerà attendere le motivazioni previste tra 45 giorni. Ciò che resta, tra rabbia e dolore, sono le verità giudiziarie e gli anni di reclusione, 10 meno di quelli messi incontro dalla famiglia della vittima, riconosciuti al muratore.

Il peso delle perizie

A pesare, sembrerebbe, nelle scelte dei giudici soprattutto le perizie. Perizie con cui si sono dati battaglia i consulenti: il professor Walter Gabriele per la difesa del- l'imputato e il noto professor Meluzzi, con la sua imponente e tagliente relazione: «il muratore sarebbe stato in grado di gestire e mettere in pratica quelle atrocità», definendolo «iperorganizzato nella gestione e attuazione di condotte violente, brutali, malvagie e sessuopatiche». Tesi ribadita poi anche in aula: «un sex offender, dunque, ma capace di in- tendere e volere». Per i giudici, invece, quella drammatica lesione riscontrata con una tac nel lobo centrale del cervello, la sede deputata al controllo delle emozioni, delle pulsioni e del comportamento, avrebbe reso l'imputato non del tutto capace di intendere e volere. Concedendogli per questo la seminfermità mentale.

Le reazioni. Choc, urla e rabbia: «Nessuna giustizia»

«Vergogna! Questa non è giustizia». Parole di rabbia e disperazione quelle della famiglia Palleschi subito dopo il pronunciamento del- la sentenza. Una giornata difficile quella di ieri per quanti, legati alla speranza di una giustizia esemplare, hanno visto svanita la condanna d'ergastolo per Antonio Palleschi. Il muratore ieri non ha assistito all'udienza.

Tra i banchi, invece, c'erano, come sempre, il fratello della professoressa d'inglese Roberto, sua moglie Giuliana e i figli Alessia e Luca. Tra le lacrime, invocando il nome dell'adorata figlia, mamma Elia che per questi anni ha sempre mantenuto un profilo basso, di mirabile compostezza e, al tempo stesso, di indici- bile dolore. «Me l'avete uccisa per la seconda volta! - ha esclamato una volta appresa la decisione dei giudici - Lei non tornerà più tra noi, ma venti anni per quell'uomo non sono nulla!». Dure anche le parole di Giuliana, che da anni si batte in prima persona per una giustizia vera nei confronti della cognata. «È vergognoso. Solo in Italia siamo costretti a vivere tutto questo. Gilberta è stata nuovamente uccisa».

Ad esprimere vicinanza alla famiglia della vittima anche il giornalista Gianluca Laguardia: «Una sentenza assurda, ingiusta. Alla mamma, al fratello e a tutti i familiari: mi unisco al vostro dolore. La vostra Gilberta è stata uccisa e violentata ancora una volta. Questo Stato e questa Giustizia non ci tutelano». Non potevano mancare ieri in aula gli amici di sempre della famiglia Palleschi che hanno dato forza e sostegno fin dai primi giorni della scomparsa.

A seguire la giornata anche le socie dell'Associazione Culturale Iniziativa Donne: «Nell'ascoltare la sentenza forte è stato il sentimento di rabbia nei confronti del sistema. L'esigua pena non ha dato conforto ai cuori che vedevano nell'ergastolo l'unico piccolo conforto». La vicenda è stata seguita anche dal programma tv "Mattino 5" di Federica Panicucci, che ieri mattina, poco prima dell'udienza, ha raccolto le testimonianze della famiglia e dell'avvocato Contucci che speravano in un esito del tutto diverso.