Spazio satira
Frosinone
21.06.2025 - 13:00
Appena sedici secondi. È il tempo in cui si è consumato l’omicidio allo Shake bar di Kasem Kasmi e il triplice tentato omicidio (del fratello della vittima e di due cugini, a loro volta fratelli tra di loro) che ha portato il tribunale di Frosinone a infliggere venti anni di reclusione e 2.200 euro di multa all’albanese Mikea Zaka, 23 anni.
Il gup Antonello Bracaglia Morante ha depositato le motivazioni della condanna con rito abbreviato. Nelle 72 pagine ricostruisce la vicenda, da ricondurre, «in preesistenti tensioni tra soggetti o gruppi contrapposti, tutti impegnati in attività criminali». E, nello specifico, in un contesto che «la polizia giudiziaria nell’informativa conclusiva plausibilmente individua in attività di spaccio di stupefacenti, senza peraltro allegare specifici atti di indagine a suffragio concreto dell’ipotesi investigativa formulata».
L’inchiesta, condotta dalla squadra mobile della questura di Frosinone, si è concentrata soprattutto sul movente del delitto. La ricostruzione del fatto di sangue, avvenuto il 9 marzo 2024, è stata subito chiara: per la confessione dell’imputato, presentatosi di lì a qualche ora in questura e per la presenza delle telecamere all’interno del bar e sulla pubblica via. Fondamentali le intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle quali è emerso che lo stesso Zaka, subito dopo l’ingresso in carcere, si era dotato di un telefono cellulare con il quale, illegalmente, comunicava con l’esterno.
Dalla sentenza emerge che «si può ritenere con adeguata certezza che dai colloqui occultamente intercettati di Zaka che l’imputato»: smentisce l’ipotesi, inizialmente circolata, che alla base della sparatoria ci fosse una ragazza contesa, che si attiva per garantire alla compagna «un’entrata economica che ne garantisca il sostentamento», si preoccupa di mantenere i contatti con i vertici dell’attività di spaccio al Casermone, nonché «si occupa di gestire la piazza di spaccio al Casermone e ragionevolmente di attivarne una in Alatri», e poi chiede protezione a un soggetto in Albania lo “zio”, rimasto ignoto «in vista della probabile reazione violenta dei familiari/gruppi avversari».
In quei sedici secondi, immortalati dai video, si vede l’ingresso del gruppo degli albanesi, poi finiti nel mirino di Zaka, che era già seduto al bar, dove con gli amici, stava consumando Red bull e caffè. Quindi l’avvio di una breve colluttazione e gli spari, almeno sei.
Il giudice nel valutare la condotta complessiva di Zaka ritiene che vada esclusa, così come ha fatto anche il pubblico ministero Samuel Amari, la premeditazione. E scrive: «il tragico fatto criminoso del 9/3/2024 non può essere qualificato come un isolato episodio di immotivata violenza urbana, ma si inserisce ed inquadra in un ambito delinquenziale che può essere in generale individuato, quantomeno nei suoi tratti essenziali, in un contrasto tra gruppi contrapposti e rivali, operanti nel settore criminale dello spaccio di sostanze stupefacenti».
Per il gup «non si può ritenere che (Zaka) avesse macchinato e preordinato l’aggressione armata come verificatasi, e soprattutto che l’avesse ideata contro quegli specifici “bersagli”, in concreto divenuti vittime della sua azione violenta». Non a casa Zaka intercettato dice: «ma sai perché mi sono inc..., perché quei colpi non erano per loro ma per altri e sono venuti questi!». Esclusa l’aggravante del motivo futile e abietto da «reputarsi esattamente non contestato dalla pubblica accusa».
Quanto alla richiesta della difesa di considerare la legittima difesa e l’attenuante della provocazione, il gup, nel negarla a Zaka, osserva, per prima cosa, la «manifesta sproporzione tra l’offesa ricevuta (reale o supposta che sia) e quella arrecata sparando ripetutamente alle vittime, uccidendo un uomo e ferendone gravemente altri tre». Quindi evidenzia «la relativa lucidità mostrata dall’imputato nel colpire gli avversari, “neutralizzandoli” tutti prima di allontanarsi a piedi (neppure di corsa…)» per «escludere che Zaka abbia sofferto nell’occasione di una vera e propria perdita di autocontrollo in stato d’ira, configurandosi semmai la sua azione come una manifestazione “all’occorrenza” della sua propensione alla violenza».
Giusto, secondo il giudice, considerare come tentati omicidi il ferimento degli altri tre albanesi che erano con la vittima, Kasem Kasmi, anche se due dei tre feriti non versarono in pericolo di morte. Il magistrato giustifica tale orientamento con «le modalità concrete degli atti lesivi.... rappresentate dalla esplosione reiterata di almeno sei colpi di arma da fuoco, tutti a distanza ravvicinata verso soggetti disarmati, gli ultimi dei quali nel corso della breve e concitata colluttazione in atto tra le vittime e due dei quattro soggetti che erano in compagnia dello Zaka».
Da qui, dunque, la condanna a venti anni per Zaka, partendo da una pena base di trent’anni (il massimo) per omicidio, tentato triplice omicidio, ricettazione e porto dell’arma usata per sparare e acquistata da un africano (a dire dello Zaka) con la diminuzione prevista per il rito abbreviato. Ora la difesa di Zaka, con l’avvocato Giovanni Tedesco, dovrà valutare se proporre appello o non impugnare per ottenere un’ulteriore riduzione di pena di un sesto.
Il gup ha poi condannato Zaka al risarcimento dei danno, da liquidarsi in sede civile, nonché delle spese legali e a una provvisionale da 760.000 euro in favore delle parti civili costituite per i feriti e i familiari dell’ucciso, rappresentate dagli avvocati Martina Stirpe, Martina Iachetta, Laura Rapuano, Christian Alviani e Tony Ceccarelli, nonché per il Comune di Frosinone, assistito dall’avvocato Rosario Grieco.
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