Arce
27.11.2024 - 18:00
La lettura della sentenza d’appello a luglio scorso che ha assolto tutti
Quattro motivi per tornare in aula. Il ricorso in Cassazione della Procura generale notificato alle parti lunedì avverso la sentenza di assoluzione per la famiglia Mottola (affatto proposto né per Quatrale né per Suprano) si fonda su quattro motivi. Motivi in cui vengono inclusi diversi aspetti che potrebbero portare, per i pg Landolfi e Amato, a discutere nuovamente davanti alla Corte d’assise d’appello ma in composizione differente.
Partiamo dall’ultimo motivo, quello che paragona ancora una volta il caso Mollicone a quello Vannini. «Tutti gli imputati della famiglia Mottola erano investiti dell’obbligo di garanzia nei confronti di chi si trovasse nell’appartamento sfitto. Ognuno di loro aveva l’obbligo di adottare quelle misure idonee a evitare l’evento morte. Tutti e tre si trovavano in caserma quel giorno, come emerge dai tabulati telefonici» scrivono i pg nel ricorso. In questo motivo (l’ultimo) un elemento comune ai due gradi di giudizio già affrontati: Serena lasciata morire come Marco. Un aspetto ribadito in aula a luglio dai pg della Corte d’appello, così come dai pm a Cassino nel 2022. I membri della famiglia Mottola sono stati ritenuti dalla pubblica accusa tutti «titolari della posizione di garanzia nei confronti di Serena» con un richiamo giurisprudenziale alla vicenda relativa alla morte di Marco Vannini, avvenuta a Ladispoli nel maggio del 2015.L
a Corte d’assise d’appello di Roma nella sentenza di luglio - assolti con formula piena la famiglia Mottola, Quatrale e Suprano, così come in primo grado - sarebbe giunta alla conclusione che «non vi sarebbe certezza di chi abbia commesso cosa» e che «non è stato provato il comportamento dei singoli, posto che la ragazza sia entrata in caserma il 1° giugno del 2021». La Corte d’assise d’appello contesta che i due casi possano essere paragonati perché nel procedimento Ciontoli «il quadro delle condotte commissive e omissive era delineato, al contrario di quello Mollicone». Per i pg Landolfi e Amato questa considerazione sarebbe errata e quindi motivo di ricorso.
Nelle 63 pagine i pg collocano Serena in caserma, ribadiscono la genuinità delle dichiarazioni di Tuzi e si focalizzano molto sul foro della porta dell’alloggio a trattativa privata che resta, per l’accusa, l’arma del delitto.
Riavvolgendo il nastro, nel primo dei quattro motivi di ricorso i pg sottolineano come la Corte d’assise d’appello si sia «limitata a esporre la sentenza di primo grado» e abbia reso una valutazione «incoerente» su vari aspetti, a volte contraddittoria, a volte senza motivazioni: sull’attendibilità di Tui, sui depistaggi, sull’avvistamento di Serena al bar delle Chioppetelle, ad esempio. Ma anche sulle consulenze tecnico-scientifiche. Poi i pg sostengono (secondo motivo) che la Corte d’assise d’appello avrebbe pronunciato una «motivazione apparente» perché si sarebbe astenuta dal compiere una «valutazione completa e complessiva di tutti gli indizi». Né avrebbe motivato (terzo motivo) sulla necessità di acquisire «le intercettazioni ambientali e telefoniche delle conversazioni tra Da Fonseca e l’appuntato Venticinque nonché della testimonianza di Tersigni».
Un omicidio irrisolto
«Nel 2004, 2005 e 2006 facevamo assolvere Belli, nel 2022 e 2024 abbiamo fatto assolvere i Mottola. Qualche domanda andrebbe posta» commenta il professor Lavorino a capo del pool difensivo del Mottola. «Allo stato dei fatti, l’omicidio di Serena Mollicone è un caso ancora irrisolto e i personaggi coinvolti (prima Belli e poi i Mottola) sono risultati innocenti» ha ribadito Lavorino su “L’analsi del criminologo”. «Non sono stati tenuti in conto gli elementi oggettivi enunciati dalle difese degli imputati» continua. «Noi faremo in modo che vincano verità e giustizia: lo dobbiamo a Serena e ai suoi familiari».
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