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Perno d’Oriente

Frode fiscale con la Cina. L’arrestato nega i bonifici in Asia

Il ceccanese finito ai domiciliari ha negato di aver effettuato i bonifici alle società cinesi. Con l’operazione condotta dalla guardia di finanza sono contestati l’autoriciclaggio e l’emissione di false fatture

guardia di finanza

Inchiesta sui bonifici che da società italiane finivano in Cina, interrogato il ciociaro agli arresti domiciliari. La guardia di finanza di Frosinone, la scorsa settimana, ha eseguito nove misure cautelari (tre in carcere e sei ai domiciliari) ipotizzando una frode fiscale con la Cina e l’autoriciclaggio. Due i ciociari coinvolti, il frusinate Fabrizio Chiappini, finito in carcere, e il ceccanese Stefano Scicchitano, ai domiciliari, difesi dagli avvocati Giuseppe Covino, Giampiero Vellucci e Mattia Romano.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, Scicchitano ha contestato gli addebiti che la procura di Roma gli muove. Secondo le accuse, il settantenne nella qualità di amministratore di una società con sede a Roma, insieme al frusinate, avrebbe emesso delle fatture per operazioni inesistenti per 2,7 milioni di euro. Soldi che, secondo le accuse, dopo aver trattenuto il 2% come compenso, con 204 bonifici sarebbero finiti in società con sede legale in Cina e a Hong Kong. Scicchitano ha negato di aver avuto una delega a operare sui conti della società e di non aver avuto rapporti con i soggetti beneficiari dei bonifici. Ha ammesso di aver percepito solamente il compenso pattuito al momento dell’assunzione dell’incarico di amministratore. Si è dichiarato estraneo per la movimentazione di denaro ritenuta illecita dalla procura, sostenendo di essersi occupato solo dell’attività ordinaria della stessa.

Per dimostrare la propria estraneità alle condotte contestategli ha chiesto una verifica sui tabulati telefonici, su chi materialmente ha intrattenuto i rapporti economici con le società cinesi e su chi ha firmato i bonifici. Su quest’ultimo punto e sui prelievi in contanti effettuati dai conti della società ha chiesto di acquisire le immagini degli istituti bancari. Nel frattempo, nel capoluogo, sono state effettuate tre perquisizioni in altrettante abitazioni tra cui quella di un professionista. L’attenzione investigativa si concentra ora sugli intermediari che avrebbero messo in contato gli imprenditori con i cinesi per mettere in piedi il sistema di fatture per operazioni inesistenti - come ritiene la procura di Roma - per creare quella provvista di 5,5 milioni di euro che poi attraverso una serie di bonifici, 470, sarebbero arrivati in Cina e a Hong Kong, per cui è contestato il reato di autoriciclaggio.

Ai cinesi, invece, è contestato in qualità di amministratori unici di cinque società con sede a Roma e Anagni, l’aver trasferito, a seguito dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, le somme di denaro ritenute evase alle società degli italiani per un totale di 1.347.270 euro. Il tutto, secondo l’accusa, per ostacolare l’identificazione della provenienza illecita del denaro.

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