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A tu per tu

Stefano Testa. Uno, due, tre... e anche qualcosa in più

Avvocato nella vita. Ma anche scrittore e musicista. Un disco, due romanzi (il terzo è già pronto) e un po' di progetti

stefano testa

Stefano Testa, avvocato, insegnante, musicista, giornalista e scrittore FOTO DONATELLA FRANCATI

È un piacere enorme avere a che fare con un artista di questo livello, così inquieto, così poliedrico, così talentuoso. Così vero. Mi avvicino a lui con la consapevolezza di conoscerlo molto bene ma anche con la certezza che sarà comunque bellissimo ascoltarlo raccontare, spiegare, ricordare. E questo è il risultato della chiacchierata con Stefano Testa, per chi non lo sapesse avvocato, insegnante, musicista, giornalista. E anche scrittore...

Tutti coloro che amano scrivere vorrebbero diventare scrittori o autori...
«Secondo me, per diventarlo veramente, bisogna avere una forte predisposizione personale, uno spiccato spirito artistico. Averlo avuto in dono dal destino è una cosa incredibile. Che regala emozioni bellissime, ma ha anche dei lati negativi, perché tende a stimolare i tormenti interiori, e non è sempre piacevole combatterci contro. Io cerco di sfruttare al meglio questa mia predisposizione naturale e, per quanto possibile, di metterla al servizio delle attività – professionali e non – che svolgo quotidianamente. Ho sempre letto tanto perché sono una persona curiosa che cerca di apprendere. Ma mi piace anche scrivere, giocare con le parole, con la loro musicalità. Questo mi ha aiutato nella stesura dei testi delle mie canzoni, dei romanzi, dei racconti e degli articoli. Ma anche degli atti professionali. Qualsiasi cosa scrivo cerco di dotarla di una sua "melodia", per renderla più gradevole alla lettura. Non so se poi riesco nell'intento, ma ci provo».

Le tue espressioni artistiche sono centellinate negli anni. È una questione d'ispirazione che non arriva? Il famoso blocco dello scrittore?
«In verità no. Al limite è una questione di pudore. Ho sempre paura di tediare gli altri. E di sbagliare. Nelle mie manifestazioni artistiche tendo ad essere un perfezionista. E questo non aiuta la prolificità. L'ispirazione per fortuna non mi manca. Mi piace pensare che quelle note, e quelle parole, arrivino dall'alto. A volte diventano una canzone, altre un romanzo. In quest'ultimo caso la trama è fondamentale per una sua buona riuscita. Io di solito parto da lì. E poi, attorno a una storia che mi convince, cerco di costruire i personaggi. Sono sempre stati dei viaggi bellissimi dentro le trame che invento e coloro che le animano».

Qualche estate fa, eravamo in piena pandemia, mi scrivesti che era un momento molto difficile, che tutti saremmo entrati in crisi e che, con la ripartenza, si sarebbe allentata la rigidità del forzato isolamento, così favorendo un miglioramento generale. Come è andata, secondo te?
«La pandemia ha modificato il mondo. Ma non necessariamente in senso negativo. In molti casi ha addirittura avuto il merito di cementare il tessuto sociale, la famiglia, le amicizie. Ci siamo tutti resi conto di essere estremamente fragili e che siamo sotto lo stesso cielo. L'eccezionale situazione creata dal Covid ha amplificato le straordinarie potenzialità della tecnologia che abbiamo a disposizione. La possibilità di lavorare da remoto e lo smart working sono realtà che, entro certi limiti, hanno migliorato il vivere comune. È vero che molte persone danno un'importanza esagerata ai social, e che lo utilizzano soprattutto per chattare, ma se internet fosse invece sfruttato prevalentemente per intercettare e acquisire informazioni e stimolare la mente, potrebbe migliorare sensibilmente la vita di tutti. La rete si pone come uno strumento eccezionale di conoscenza. Io stesso, ad esempio, la utilizzo per la mia attività di giornalismo, oltre che con i ragazzi della scuola. In trenta secondi oggi si hanno le risposte che vogliamo. E questa è una grande comodità».

I tuoi romanzi hanno uno storico di fondo, dove e come conduci le ricerche?
«Se ripenso alle mie ricerche storiografiche per scrivere i miei romanzi "Il testamento di don Rodrigo" e "Il senso nascosto delle ferite" non riesco a capacitarmi come abbia fatto. È stato un lavoro lungo e difficile. Sono stato molto tempo all'interno della Biblioteca Nazionale di Roma, ho comprato decine di volumi e ho letto per mesi saggi e romanzi. Erano dei passaggi obbligati per tentare di costruire al meglio le storie che avevo in mente. Ma devo dire che ne è valsa la pena. Non solo perché sono riuscito a completare la stesura dei testi con soddisfazione, provando a descrivere senza errori la realtà storica che volevo rappresentare, ma anche perché, consultando tanti testi, ho imparato molte cose».

Quali sono i tuoi autori preferiti?
«Sono molti, ed è sempre difficile fare dei nomi. Da un punto di vista strettamente stilistico probabilmente i grandi autori russi sono insuperabili. Penso a Cechov, tra gli altri. Ma anche a Edgar Allan Poe e a Irving Stone. E, tra gli italiani, a Luigi Pirandello e Piero Chiara, ad esempio. Tra quelli più contemporanei apprezzo l'originalità delle trame di Stephen King, di Ira Levin, di Crichton, di Follett».

Hai ricevuto molti premi, ma resti un inquieto...
«L'inquietudine fa parte del mio carattere. Tendo a dimenticare in fretta i risultati che raggiungo e a puntare sempre a nuovi obiettivi. Questo è un bene, ma fino a un certo punto, perché finisco per non godere adeguatamente del piacere del momento. Ho ottenuto diversi riconoscimenti in campo letterario e musicale e sono veramente orgoglioso dei risultati che ho raggiunto. Mi sarebbe piaciuto essere un musicista migliore a livello strumentale, per riuscire ad alzare la mia asticella compositiva. Quello è un mio grande rimpianto. Evidentemente era fuori dalla mia portata. Bisogna saper ammettere i propri limiti. Ma sono comunque soddisfatto».

Che musica ascolti? Che sottofondo ti aiuta nella scrittura e quando leggi? Con chi faresti un duetto?
«Ascolto di tutto. Dipende molto dall'umore, e dal momento. Anche mentre scrivo, ma non invece quando leggo. Tra gli stranieri amo Sting e i Beatles, i Pink Floyd e i Supertramp, Miles Davis, gli Steely Dan, Gershwin, tra i brasiliani Caetano Veloso e Lenine. Tra gli italiani Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Paolo Conte, Lucio Dalla, Pino Daniele, Claudio Baglioni ma potrei elencarne altri cento. E poi Mozart, Beethoven, Chopin, Musorgskij, Rachmaninov. Quanto ai duetti ne farei tanti, e volentieri, ma non credo proprio che loro accetterebbero (o avrebbero accettato…)!».

In estate sembrava possibile rivederti suonare dal vivo, in uno spettacolo che avrebbe dovuto unire la musica, il teatro, la letteratura ed il ballo. Che progetti hai?
«Mi piacerebbe tornare a ricalcare il palco. Anni fa ho vissuto delle esperienze meravigliose, senza peraltro avere alle spalle una casa discografica. Ma feci una scelta ben precisa e decisi di dedicarmi alla professione forense. Ogni tanto ripenso alla mia decisione, e un pochino di rimpianto ce l'ho. Pazienza. I riconoscimenti al Festival Musicultura e al Lunezia hanno lasciato un segno importante nella mia memoria. Per non parlare dei premi letterari. Quando ricordo quei momenti provo sensazioni e ricordi veramente belli. La tentazione di tornare a esibirmi dal vivo c'è, come quella di proporre nuove canzoni, dare alle stampe un nuovo libro (peraltro pronto già da qualche anno) e fare tante presentazioni. Il terzo romanzo è finito da diversi anni. Ma non so se lo pubblicherò. Forse è giusto che lo tenga per me. È una storia torbida, inquietante, completamente diversa dalle altre che ho pubblicato. Ne sto scrivendo un altro e mi piacerebbe terminarlo in fretta, ma gli impegni sono tanti e quello che mi manca veramente è il tempo. L'ispirazione, come ti ho già detto, per fortuna c'è. Tanto è vero che ho le idee per almeno altri due romanzi. Ma non so quello che succederà. Sono una persona molto istintiva e impulsiva. Non so se questo sia un difetto, ma sono così, e non posso farci molto».

Mi alzo, guardo Stefano, è volata un'ora, faccio un ghigno pensando che non mi ha detto neppure una bugia, non ne è capace. E penso a quanto riportato da lui nella prima pagina del romanzo che non ha mai pubblicato. È un aforisma presente su un libro di Andrè Gide, ma a quanto pare attribuibile a Benjamin Franklin: «Tre persone possono tenere un segreto se le altre due sono morte».

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